Cinema

Sull’orlo dell’abisso, il documentario su Steve Bannon ci dice che incitare all’odio non è una buona strategia

Per 15 mesi – da settembre 2017 a novembre 2018 – la giovane regista Alison Klayman ha seguito Steve Bannon, ex chief strategist della campagna elettorale di Donald Trump, nei suoi spostamenti lungo gli States e in Europa. The Brink (Sull’orlo dell’abisso nella versione italiana) è il risultato del suo lavoro, un documentario di 90 minuti ricavato da 200 ore di filmato, che uscirà il prossimo 29 aprile nelle sale italiane distribuito da Wanted Cinema.

L’aria un po’ spiritata, sovrappeso – “devo dimagrire 16 chili” dichiara all’inizio delle riprese – indossando l’immancabile doppia camicia e lattina di Red Bull in mano, Bannon si vanta di aver ispirato le politiche difensive presidenziali come il Muslim Travel Ban e il muro di separazione dal Messico, fa affermazioni roboanti sulla “divina provvidenza” che ha portato Trump al potere, anche se poi ammette che ogni minuto passato alla Casa Bianca è stato per lui una sofferenza e che un karma negativo regna sulla West Wing. Incita i suoi collaboratori a trovare motivazioni per l’odio, che porteranno la gente a votare, e li cazzia se non sono focalizzati sull’obiettivo.

Talvolta autoironico, super concentrato sulla sua nuova missione, la vittoria dei partiti sovranisti alle elezioni europee, l’ex vice direttore di Goldman Sachs si scaglia contro “il partito di Davos” e denuncia il capitalismo, ma poi incontra l’eccentrico uomo d’affari cinese Miles Kwok che finanzierà con svariati milioni di dollari The movement ,la sua organizzazione con sede a Bruxelles.

In The Brink sfilano i capi dei partiti euroscettici: il britannico Nigel Farage, i francesi Jérôme Rivière e Marine Le Pen, il belga Mischael Modrikamen, lo svedese Kent EkerothGiorgia Meloni è ricevuta da Bannon nella sua suite sul Canal grande, l’incontro con Matteo Salvini è fra gli stucchi di un palazzo romano, Luigi Di Maio non appare nel film ma c’è pure lui nella lista di chi è stato consultato.

La regista Alison Klayman – nel 2012 ha diretto un bellissimo documentario sull’artista dissidente cinese Ai Weiwei – non teme di aver umanizzato il personaggio del controverso consigliere di Trump. “La cosa fondamentale era smascherarlo, mostrare le sue azioni, le persone con cui collabora, ciò che afferma. Durante le riprese, mi ha colpito la sua propensione a presentare i fatti in modo distorto“. Anche Marie Therese Guirgis, produttrice del film, un passato di lavoro in comune con Bannon quando lui si occupava di produzioni cinematografiche, è convinta che “mostrandolo per quello che è, gli spettatori possano coglierne le contraddizioni, capire come agisce, in particolare come manipola i media.“

In sintesi: Steve Bannon è certamente un personaggio pericoloso e le sue ragioni per autoproclamarsi paladino di un movimento sovranista transnazionale nelle elezioni europee non sono chiare. Ma il “motivatore d’odio” non appare come un vincente: cacciato da Trump, sostiene il candidato repubblicano Roy Moore che perde le elezioni di metà mandato. Adesso tenta di rinverdire il suo mito in Europa, però – come appare nel documentario – la sua organizzazione non è all’altezza delle sue ambizioni.