Il già generale di brigata della Guardia di finanza insieme all'avvocato Cocco ha consegnato un dossier di 56 pagine per chiedere una nuova inchiesta. In audizione ricostruisce tutte le ambiguità emerse in questi anni sulla morte del ciclista il 14 febbraio 2004: "L'accesso dal garage che era fuori controllo", "il buco nel controsoffitto", "il braccio spostato". E poi i sospetti di un legame tra la sua squalifica per doping al Giro '99 e la criminalità organizzata
“Qualcuno era con lui” quando Marco Pantani è morto il 14 febbraio 2004 nella camera da letto di in un appartamento al quinto piano del residence ‘Le Rose’ di Rimini. È la tesi che Umberto Rapetto, già generale di brigata della Guardia di finanza, ha esposto in audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia. Il generale, scelto come consulente dalla famiglia del campione di ciclismo, ha fatto riferimento in particolare a “delle macchie di sangue” e a come, al momento del ritrovamento del cadavere, “era posto il braccio: non si può pensare che sia stato lo stesso ciclista a spostarlo“. Insieme all’avvocato Cocco hanno consegnato all’Antimafia un dossier di 56 pagine chiedendo di valutare l’opportunità di svolgere una nuova inchiesta sul caso. “Sono convinto che chi di dovere possa presentare alle procure locali queste nuove acquisizioni” che “possono rappresentare motivo di interesse“, ha detto il presidente M5s della Commissione, Nicola Morra.
La tesi di fondo dei legali della famiglia Pantani è sempre la stessa e coinvolge il giro di scommesse legate alla criminalità organizzata sul vincitore del Giro d’Italia 1999, quando il Pirata da vincitore annunciato fu escluso perché risultò positivo a un controllo antidoping dopo l’arrivo a Madonna di Campiglio. Riguardo alla morte di Pantani e alla successiva indagine, quanto raccontato da Rapetto in audizione ripercorre le contraddizioni che le successive inchieste giornalistiche e le ultime rivelazioni de Le Iene avevano già fatto emergere.
Alla stanza di Pantani si poteva accedere “anche dal garage”
Innanzitutto quello che è successo nei giorni e nelle ore precedenti al ritrovamento del cadavere del ciclista. “Si dice che Marco Pantani era sempre stato in quella stanza e che era solo. Eppure andando a scavare alcuni giornalisti hanno scoperto che lui da quella stanza è uscito“, spiega il generale Rapetto, facendo notare che l’hotel in cui il campione alloggiava aveva “un garage, era un albergo usato forse anche per passare qualche ora in intimità” e che “l’accesso dal garage era fuori da qualunque controllo“.
Un altro punto sul quale Rapetto ha sollevato l’attenzione dell’Antimafia è il fatto che il ciclista chiese più volte alla reception, il giorno della morte, di chiamare i carabinieri “perché ‘c’è qualcuno che dà fastidio‘”. Quel qualcuno, fa notare il generale, “potrebbe essere arrivato dal garage. Le Iene hanno sentito la ragazza all’ingresso dell’hotel e il proprietario: nessuno ricorda nulla né ha idea del perché non si sia dato luogo ad una richiesta di aiuto tanto insistente”. E ancora: nella stanza in cui Pantani è stato trovato morto è stato rinvenuto un bastone con cui è stato sfondato il controsoffitto, “come se qualcuno cercasse qualcosa. Poi c’è il lavandino smurato e un buco nel controsoffitto, ci sono anche le bocchette di areazione che sono state rimosse: qualcuno probabilmente è entrato, cercava qualcosa. Chi? Cosa cercava? Perché?”, si chiede Rapetto.
Le “macchie di sangue” e la “pallina bianca intonsa”
Il cadavere di Pantani fu ispezionata da un medico della Asl di Rimini quella sera del 14 febbraio di 15 anni fa. Secondo quanto risulta in atti giudiziari, il corpo era ”prono, sul pavimento, al lato destro del letto”. Presentava ”vistose macchie ipostatiche sul volto, sul torace e sulle gambe”. Il medico legale rilevò “lievi escoriazioni sul capo, uscita di sostanza ematica dalle narici”, conseguenza della ”probabile lesione del setto nasale”. Una “vistosa chiazza di sostanza presumibilmente ematica”, infine, fu rilevata “sul pavimento, in corrispondenza del volto del cadavere”. Rapetto nel corso della sua audizione si concentra anche su questi aspetti. In particolare appunto quelle “macchie di sangue” che sembrano indicare una spostamento del braccio. “Non si può pensare che sia stato lo stesso ciclista”, afferma il generale. Che inoltre pone l’attenzione sulla presenza di un “enorme grumo di sangue sul pavimento con al centro una pallina bianca, intonsa, perfettamente bianca”. “È uno dei grandi misteri – prosegue – nonostante sia stata nel sangue, la pallina non ne era stata intaccata”.
Un’altra ambiguità sulla quale si sono soffermati Rapetto e l’avvocato Cocco riguarda i prelievi effettuati dal medico legale, il dottor Giuseppe Fortuni, dell’Università di Bologna. “Il dottore racconta che quando ha terminato le operazioni relative all’autopsia – dice il generale – si è sentito seguito (solo dopo ha capito che si trattava di giornalisti) e anziché portare il cuore e i campioni nella struttura ospedaliera se li è portati a casa, in una cantina che aveva un frigo idoneo per la conservazione dei prelievi. Certo, nelle procedure di gestione tutto questo suona inconsueto”. E ancora, “il dottor Fortuni escluse la morte per l’uso dei farmaci, che sarebbero solo una concausa, la concentrazione di antidepressivi era modesta. Un’altra perizia dice invece che ci sarebbe stata una overdose da psicofarmaci: delle due l’una“, osservano i consulenti della famiglia.
Il Giro del 1999 e il test antidoping: “Serve approfondimento”
La tesi del generale Rapetto e dell’avvocato Cocco è che la criminalità organizzata non poteva permettersi di pagare scommesse fin troppo scontate sul ciclismo grazie alle vittorie di Pantani. Nel dossier di 56 pagine viene citata tra l’altro una intercettazione in cui un ex detenuto dice di essersi avvicinato a Renato Vallanzasca e di avergli parlato del caso Pantani. Secondo il racconto dell’ex capo della banda della Comasina, in carcere qualcuno gli disse: “Hai qualche milione da buttare? Se sì, puntalo sul vincitore del Giro. Non so chi vincerà, ma sicuramente non sarà Pantani”.
Il campione di Cesena “sapeva benissimo, lo diceva lui stesso, che tutti i prelievi per i test antidoping venivano fatti sui primi dieci. Non sarebbe mai stato così stupido da esporsi ad un rischio così grande”, dicono Rapetto e Cocco di fronte all’Antimafia. “Delle 10 provette – fanno notare i consulenti – una sola è stata trattata secondo procedura, le altre non risultavano conformi agli standard. Tutto questo merita comunque un approfondimento per capire se il ciclista era effettivamente dopato o no”. I risultati dei controlli antidoping, come detto, portarono all’esclusione del Pirata dal Giro d’Italia la mattina del 5 giugno 1999.
Il legale della famiglia: “Tesi ufficiale non più sostenibile”
“L’audizione di Rapetto davanti alla Commissione antimafia rappresenta un momento molto importante, fondamentale per cercare finalmente, con la giusta determinazione, la verità sulla morte di Marco Pantani”, afferma all’Adnkronos l’avvocato Antonio de Rensis, legale della famiglia del ciclista. “Riteniamo – osserva l’avvocato – che la Commissione saprà ricercare e approfondire i tanti elementi emersi in questi anni, che rendono ormai non più sostenibile la tesi ufficiale sulla morte del campione”. Il capogruppo M5S in Commissione Antimafia, Mario Michele Giarrusso, commenta: “Credo che la morte di Pantani ci costringa a indagare se per caso la caparbietà del ciclista, che aveva una capacità economica notevole e quindi poteva affidarsi a consulenti e avvocati per chiedere verità e giustizia, ne facesse una persona a rischio: si immetteva in una strada che lo portava a confliggere con gli interessi della criminalità. Questo è elemento e terreno di investigazione da portare avanti senza tesi preconcette per capire se tutto quel che andava fatto è stato fatto o se ci sono filoni per consentire di fare chiarezza”.