I francesi la chiamavano la forêt, perché con le sue 1.300 travi in legno di quercia era in grado di sorreggere un tetto in piombo da 210 tonnellate. Ma di quella foresta, che per secoli ha assicurato protezione alla cattedrale più amata di Francia, ora non è rimasto più nulla. La causa dell’incendio che ha sventrato Notre-Dame de Paris, almeno stando alle prime informazioni diramate dai vigili del fuoco, sarebbe proprio lì sopra, nelle impalcature montate per dei restauri sul tetto della chiesa e intorno alla guglia centrale. Eppure quando le fiamme sono iniziate non c’erano operai al lavoro. “Questi incendi sono già successi in passato, il problema è che negli ultimi anni si è cercato di ottenere in tempi brevi e con enormi finanziamenti risultati che richiederebbero una manutenzione più costante e meno invasiva”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Francesco Scoppola, esperto di restauri monumentali in Italia e direttore generale Educazione e ricerca del Mibac. “Facendo interventi con più essenzialità, ad esempio con delle funi, si potrebbe evitare di installare ponteggi enormi e di lasciare i macchinari in quota. Perché se poi si surriscalda una batteria sulla cima di una cattedrale, a quel punto è molto difficile intervenire per tempo”.

Le domande su cui si interrogano i magistrati
Per capire la dinamica dell’incidente si è immediatamente attivata la magistratura francese, la quale ha aperto un’inchiesta per disastro colposo. Come ha dichiarato il procuratore di Parigi, per ora “viene privilegiata la pista accidentale”, dato che “niente va nella direzione di un atto volontario”. Una delle ipotesi è che la fiamma sia scaturita da un lavoro di saldatura condotto sul tetto della cattedrale, attivando per due volte l’allarme antincendio. Le domande che attendono risposta però sono tante.Le società coinvolte nel restauro avevano previsto un adeguato piano di sicurezza? Le norme antincendio sono state rispettate? Tutti temi decisivi quando si affrontano lavori così delicati come quello pianificato per Notre-Dame, danneggiata negli anni dall’incuria e dalle infiltrazioni d’acqua. Lo sa bene Francesco Scoppola, che in passato ha diretto fra gli altri i restauri degli affreschi di Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova, i lavori a palazzo Ducale di Urbino e a Palazzo Altemps a Roma. “Anche nel caso dell’incendio nella cappella della Sindone a Torino la presenza di impalcature aveva causato una maggiore esposizione al rischio. Più che un’attenzione alla normativa, è importante capire che un monumento deve essere sottoposto a un lavoro ambulatoriale costante, piuttosto che a un intervento invasivo una tantum”, dichiara Scoppola.

“Lavori possono essere meno invasivi”
“In passato c’erano pochi soldi e l’essenzialità era imprescindibile nei lavori. Spesso si facevano utilizzando la canapa e si rischiava persino la vita, ma oggi con gli strumenti di cui disponiamo si potrebbero ottenere gli stessi risultati senza montare pesanti impalcature sui monumenti”. Come? “Ricorrendo a interventi con funi moderne, sicuramente lavori più acrobatici e costosi, ma meno invasivi per il patrimonio artistico”, aggiunge Scoppola. “Invece siamo tutti a caccia del primato, del maxi-finanziamento decennale. Diceva bene Camillo Boito già nel 1884: ‘Fermarsi a tempo. Qui sta la saviezza: contentarsi del meno possibile’”. Sul tema della sicurezza nei cantieri è intervenuto anche Fabio Carapezza Guttuso, attuale direttore generale per la Sicurezza del Mibac. “Il piano antincendio di un edificio va fatto come un abito su misura”, ha dichiarato Guttuso all’Adnkronos. I cantieri, infatti, alterano “l’analisi del rischio, elevandolo, perché nell’edificio si introducono elementi come le impalcature”. Per questo, aggiunge il dirigente del ministero, “la normale vigilanza del monumento deve essere variata in relazione allo specifico rischio rappresentato dal cantiere”. Se ciò sia avvenuto in modo corretto a Notre-Dame, però, è ancora tutto da verificare.

L’esperta: “Ponteggi di ottima qualità”
Quel che è certo finora è che le prime fiamme sono state avvistate in alto, vicino alle impalcature montate sul tetto della cattedrale. Poco prima delle 20 il momento più critico: la guglia centrale, avviluppata dal fuoco, collassa. Nonostante questo, spiega al Ilfattoquotidiano.it Paola Brunori, titolare del corso di Cantieri per il restauro all’università Roma Tre, “i ponteggi sono rimasti in piedi a lungo, anche se sono stati esposti alle fiamme sin da subito. Ciò dimostra che erano fra i più moderni sul mercato, molto leggeri e di ottima qualità”. Da qui l’ipotesi che si sia trattato di “un cantiere ben organizzato. Il fatto che l’incendio sia divampato quando non c’erano operai al lavoro, inoltre, permette di escludere che a causarlo in modo diretto siano state le lavorazioni fatte per i restauri”, chiarisce Brunori. “Una delle ipotesi potrebbe essere il cortocircuito, eppure è difficile immaginare che abbia scatenato tutto quel fuoco”.

“Ma la fatalità è sempre dietro l’angolo”
Le opzioni, quindi si riducono drasticamente: “Purtroppo nei cantieri capitano sempre cose che sfuggono ai piani di sicurezza o al controllo di chi sovrintende. Ad esempio è possibile che nello spogliatoio gli operai avessero una stufa per ripararsi dal freddo e magari si sono dimenticati di spegnerla”. In questi casi, chiarisce l’esperta, non vengono quasi mai installati rilevatori di fumo. Perché? “È molto raro che vengano utilizzati, perché si cerca di lavorare sulla prevenzione a monte, facendo in modo che queste cose non possano accadere”, spiega. “I progetti di restauro sono sempre corredati da piani di sicurezza molto accurati, che cercano di prevenire ogni possibile danno. Ad esempio le lavorazioni pericolose e a eventuale innesco incendi, come la saldatura, vengono fatte solo in condizioni di sicurezza per gli operai e per la struttura stessa”. Senza contare i costi di un’impiantistica antincendio, ritenuta “poco adatta per cantieri temporanei che devono essere spostati di volta in volta”, conclude Brunori. “Purtroppo le fatalità sono sempre dietro l’angolo, l’unica cosa che possiamo fare è impegnarci per prevenirle”.

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