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Europee, fare propaganda sui social può costare caro ai partiti. Ecco perché

Utente, stai in campana: è stato approvato in tutta fretta – reso efficace nello stesso momento del suo accesso in Gazzetta Ufficiale, proprio perché fosse già applicabile alle prossime Elezioni europee – un regolamento dell’Ue che prevede controlli e sanzioni per tutti i partiti che utilizzino “in modo indebito” i dati personali profilando online e sui social network i cittadini per influenzare la campagna elettorale. E’ una novità importantissima, passata finora un po’ troppo sotto traccia e che invece introduce multe fino al 5% del bilancio del partito o anche l’esclusione dai rimborsi elettorali o dai finanziamenti ai gruppi dell’Europarlamento.

Fine dei tecnicismi, al via la lettura. A parlarne, ieri in Italia, è stato il Garante della Privacy europeo Giovanni Buttarelli, che – onestamente – ha riconosciuto i diversi livelli in cui ci si muove quando si affronta questo tema e ha sottolineato che il problema della disinformazione in Italia esiste, ma non più che nel resto d’Europa. Anche perché il nodo non è tanto la diffusione delle fake news, bensì la manipolazione inconsapevole dell’intera galassia informativa, ovvero il metodo utilizzato dagli algoritmi per farci arrivare pubblicità su misura o post affini, ma applicato alle campagne elettorali.


“In senso generale la disinformazione va oltre la mia competenza, soprattutto quando si tratta di produzione automatizzata di articoli fasulli – ha detto Buttarelli, il cui intervento è disponibile integralmente su Radio radicale -. E’ mio diretto compito, invece, se quel tipo di disinformazione orientata, quindi non per forza falsa, mi arriva sulla base dei miei comportamenti online”. Non contanto quindi tanto i contenuti, quanto la campagna di profilazione e quindi di diffusione che sui social network potrebbero mettere in campo le forze politiche per raggiungere la propria audience senza informare e senza il consenso dell’utente.

“I partiti – ha detto Buttarelli – dovranno non solo rendere note come useranno le piattaforme a cui si appoggeranno, ma anche i criteri in base ai quali i cittadini sono profilati dalle forze politiche o dalle società a cui le forze politiche si appoggiano”. In una parola: si chiede trasparenza, si chiede di dire e spiegare in modo chiaro agli utenti se un contenuto spinto dalla “Bestia” leghista di Luca Morisi o dalla rete dei grillini o del Pd ci arriva perché l’uno, l’altro o l’altro ancora hanno chiesto al social network (anche pagandolo o pagando altri perché lo facciano) di renderlo visibile a quella categoria di cui credono facciamo parte.

Tanto che, sempre il mese scorso, la Commissaria europea per la Giustizia e la tutela dei consumatori, Vera Jurova, ha inviato una lettera a tutti i partiti politici – anche quelli italiani – per raccomandare di giocare pulito durante le elezioni e spiegare cosa prevede il nuovo pacchetto di norme approvato a ottobre. Come? Chiedendo a “partiti, fondazioni e organizzazioni di campagne nazionali” di “garantire che i cittadini dell’Unione possano riconoscere facilmente le politiche retributive online, pubblicità e comunicazioni” nonché “il partito, la fondazione o l’organizzazione dietro di loro”.

Ha chiesto poi di rendere disponibili sui loro siti web “informazioni sulle spese per l’online, comprese le comunicazioni politiche a pagamento così come le informazioni su eventuali criteri di targeting utilizzati nella diffusione di tali pubblicità e comunicazioni”. E ancora di “rendere disponibili sui loro siti web le pubblicità politiche online a pagamento, le comunicazioni e i collegamenti”. Insomma: fate pure campagna sui social network, ma fatela in modo trasparente. Anche perché, si sa (e i partiti lo sanno benissimo), siamo nell’era de “l’ha detto Facebook” e de “l’ho letto su Twitter”: è fondamentale dare almeno la possibilità e la chance di scegliere se essere o meno elettori consapevoli.