Eccolo il nuovo skyline di Taranto. Un profilo modificato dalla ciclopica opera di copertura dei parchi minerali dell’ex Ilva in grado di offuscare persino le imponenti ciminiere dello stabilimento siderurgico. Che fosse una costruzione gigantesca era immaginabile: sulla carta le dimensioni descrivevano chiaramente l’imponenza dell’opera, ma solo osservare da diversi punti della città la sua realizzazione può rendere chiare le dimensioni del progetto che dovrebbe salvare il quartiere Tamburi e l’intero territorio ionico dalla diffusione delle polveri che il vento trasportava dalla fabbrica nelle strade, nelle case e nelle vite dei tarantini. L’obiettivo, quindi, è quello di eliminare lo spolverio che ha segnato la vita di un’intera comunità ed è stato l’argomento centrale dell’inchiesta Ambiente svenduto, che dopo il sequestro dell’area a caldo nel 2012, ha portato alla sbarra la proprietà dell’ex Ilva, i dirigenti aziendali e la politica fino ai tecnici del ministero dell’Ambiente.
La maxiperizia ambientale ordinata dal gip Patrizia Todisco spiegò che ogni anno dai parchi minerali si sollevavano verso la città circa 700 tonnellate di polveri di ferro e carbone. L’Arpa Puglia aveva sempre denunciato che l’unica possibile soluzione al problema fosse la copertura, ma la famiglia Riva si era sempre opposta. Le intercettazioni dell’inchiesta lo raccontano in modo efficace: è proprio Fabio Riva, ignaro di essere ascoltato dai finanzieri, a spiegare la strategia di sostituire l’ipotesi di copertura con la costruzione di un “rete di barrieramento”. “Siccome noi – spiega Riva al suo interlocutore – non possiamo assolutamente coprire i parchi perché non è fattibile… tanto vale rischiarla così”. Ed effettivamente i Riva riuscirono a raggiungere il loro obiettivo costruendo una “rete antiveleni” che durante la sua costruzione mostrava la sua totale inefficacia.
La rete dei Riva non ha nulla a che fare con la grandezza dell’opera affidata da Ilva in Amministrazione Straordinaria al Gruppo Cimolai per 300 milioni di euro. Nella sua presentazione il gruppo ha dettagliato che le strutture saranno due: entrambe lunghe 700 metri e larghe 254 metri e con una altezza tra i 67 e i 77 metri dovrebbero coprire quasi 200mila metri quadrati di superficie. Anche i numeri dei materiali utilizzati sono impressionanti: 60mila tonnellate di acciaio, 200mila metri cubi di calcestruzzo, 10mila tonnellate di armature, 24mila metri di pali di fondazione. Ogni giorno 200 operai lavorano per portare a termine la più importante ed emblematica prescrizione imposta dall’autorizzazione integrata ambientale. Lo scorso 5 aprile Arcelor Mittal, in una nota, ha annunciato la costruzione “con 10 giorni di anticipo” del terzo arco della copertura del Parco minerale: “Un’opera che – a lavori completati – avrà un ruolo decisivo nel limitare la dispersione di polveri verso la città, in particolare nel quartiere Tamburi. I minerali presenti nei parchi primari saranno infatti messi sotto copertura entro la fine del 2019, quasi 19 mesi prima della scadenza stabilita dal Decreto del Presidente del Consiglio del settembre 2017. Entro maggio 2020 verrà invece completata la copertura dei fossili: e anche in questo caso saremo in anticipo rispetto al termine di scadenza previsto dallo stesso Decreto. La prossima scadenza è per il 30 aprile, quando sarà completato il 50% della struttura superiore della copertura che accoglierà tutto il materiale presente nel parco minerale. Le attività sono in corso nella parte più vicina al quartiere Tamburi. La copertura dei parchi non è solo uno degli interventi più importanti richiesti dall’Autorizzazione Integrata Ambientale, ma anche parte del Piano Ambientale più ambizioso di sempre: un totale di 1.15 miliardi di euro di investimenti entro il 2023 per un obiettivo, fare di Taranto lo stabilimento più avanzato d’Europa”.
Foto di Luciano Manna