Erano state pensate come strumento per rassicurare l’Unione europea sulla tenuta dei nostri conti pubblici e “comprare tempo” per reperire le risorse di cui il governo aveva bisogno. Ma da quando sono state introdotte per la prima volta – nel 2011, dal governo Berlusconi – le clausole di salvaguardia si sono trasformate in una spada di Damocle che pende sulla testa dell’Italia. Che cosa sono? Norme che prevedono l’aumento automatico dell’Iva e delle accise qualora non si raggiungano determinati obiettivi di bilancio, in particolare quelli sul livello di deficit imposti dai vincoli europei. Le clausole equivalgono alla promessa di trovare i fondi in futuro, pena lo scatto all’insù delle aliquote con inevitabili conseguenze sulla crescita e sul consenso. Il problema è che, salvo limitati tentativi di sterilizzarle con tagli alla spesa, nel corso degli anni le clausole sono state disinnescate per lo più chiedendo e ottenendo flessibilità a Bruxelles. Soltanto una volta sono scattate, quando a palazzo Chigi c’era Enrico Letta: in quell’occasione hanno portato l’aliquota intermedia Iva ai livelli attuali (22 per cento). Di fatto, quindi, si sono trasformate in uno strumento che ha permesso ai governi di ogni colore di rimandare decisioni impopolari, scaricando la responsabilità sui successori.
Un’eredità pesante che con la legge di bilancio 2019 varata dall’esecutivo Conte ha raggiunto il suo massimo storico. Se Movimento 5 stelle e Lega non dovessero trovare con la prossima manovra 23,1 miliardi euro (di cui 19,2 ricevuti in eredità), infatti, nel 2020 l’aliquota ordinaria Iva potrebbe aumentare dal 22 al 25,2 per cento. E nel 2021 lo scenario rischia di essere ancora peggiore: per colmare un vuoto di 28,8 miliardi (si partiva da 19,6), l’Iva salirebbe addirittura al 26,5 per cento. La colpa non è soltanto della manovra gialloverde, dato che gran parte delle nuove clausole arriva dal passato. Ne hanno beneficiato proprio tutti, ma il primo a ricorrervi (e a dare il via a questo meccanismo ormai fuori controllo) è stato nel 2011 l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, alle prese con la tempesta finanziaria che nel giro di pochi mesi fece cadere l’ultimo governo Berlusconi.