Archiviata la stagione del giglio magico, viene nominato presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il quale deve subito mettere mano alle clausole di salvaguardia con la cosiddetta “Manovrina” dell’aprile 2017 (il decreto 50 del 2017). Gli effetti vengono spalmati fino al 2021 e le aliquote Iva rimodulate attraverso più interventi legislativi (perlopiù in deficit), finché con la legge di bilancio 2018 (l’ultima di un governo targato Pd) si delinea questo quadro: per il 2019 bisogna trovare 12,5 miliardi di euro, 19,2 per il 2020 e 19,6 miliardi per il 2021. In caso contrario, l’aliquota ridotta dell’Iva è destinata a salire fino al 13 per cento, mentre l’aliquota ordinaria al 24,2 per cento nel 2019, al 24,9 per cento nel 2020 e al 25 per cento nel 2021, a cui va aggiunto anche un aumento delle accise sui carburanti pari a 350 milioni di euro.

È questa l’eredità con cui si deve confrontare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dopo il suo insediamento. Una zavorra che, però, viene ulteriormente appesantita con la prima legge di bilancio del governo “del cambiamento”. Mentre la clausola prevista per quest’anno è stata completamente sterilizzata (in deficit), l’esecutivo M5s-Lega ha rivisto al rialzo gli aumenti delle aliquote Iva e delle accise sui carburanti a partire dal 2020: +3 punti per l’aliquota ridotta e +3,2 per quella ordinaria (poi a +4,5 per cento nel 2021). In sostanza, per evitare che la clausola scatti e abbia effetti recessivi sull’economia, nella prossima manovra il governo dovrà trovare 23,1 miliardi di euro e 28,8 per quella del 2021. Cifre che, da sole, varrebbero una finanziaria ciascuna e che difficilmente possono coesistere con il reperimento delle coperture necessarie per la flat tax annunciata dal vicepremier leghista Matteo Salvini. Proprio su questo, infatti, sembra che si sia consumato l’ultimo scontro in maggioranza in sede di approvazione del Def. Un vertice che, per la prima volta nella storia, si è concluso senza la consueta conferenza stampa del governo. Tutto rimandato a settembre, insomma, o almeno a dopo le elezioni europee.

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