Presento due cd pianistici della Da Vinci Classics di Osaka, una casa che si segnala per le proposte culturalmente accattivanti e perché ama lanciare nel firmamento concertistico internazionale giovani valenti esecutori. Il primo porta il titolo La ville joyeuse (La città gioiosa; C00124) e reca brani di compositori francesi che, per un verso o per l’altro, celebrano la città di Napoli: li esegue il pianista Daniele Adornetto. Per i paesaggi rapinosi, i colori accesi, il movimento frenetico, la commistione di fasto, nobiltà e popolaresca frenesia, Napoli ha sempre esercitato un gran fascino sugli artisti. Del resto è magica anche la sua fondazione, strettamente connessa al mito, attribuita com’è a una delle tre sirene sconfitte da Odisseo. Le scelte di Adornetto sono attraenti: accosta compositori noti come Alkan, Saint-Saëns, Debussy, Poulenc, ad altri che, se furono acclamati ai giorni loro, oggi sono poco frequentati dagli esecutori e dai musicofili.
Gabriel Pierné (1863-1937), ad esempio, fu organista ma anche direttore d’orchestra: in questa veste fece apprezzare opere contemporanee di Debussy, Ravel, Stravinskij, e diresse a Parigi i primi balletti russi di Djagilev. Adornetto esegue con bravura l’ultima delle “15 Pièces” op. 3, una Tarantella in cui a un tratto risuona la famosa Funiculì funiculà di Luigi Denza. Di Henri Rosellen (1811-1876), compositore e didatta – scrisse anche un manuale per pianoforte -, il cd presenta le Variazioni sull’Aria di S. Lucia. Di Eugène Nollet, arpista e pianista (1828-1904) di cui scarseggiano le notizie biografiche, compare un brano, per la verità di non eccelsa fattura, che evoca Le nozze di Pulcinella, un fortunato copione francese per marionette. Più importante e noto è l’austriaco Henri Herz (1801-1888), naturalizzato francese, fulgido pianista: viene proposto un Rondo-Capriccio composto sulla famosa “Barcarola” di un’opera che tutt’Europa ammirò nell’Ottocento, La muette de Portici (La muta di Portici) di Daniel Auber. Il brano di Herz appartiene al genere delle “parafrasi” operistiche, arrangiamenti pianistici di pezzi d’opera prediletti dal pubblico: attraverso di esse si riviveva in salotto, sonoramente trasfigurata, l’ebbrezza dell’esperienza teatrale.
Fra i compositori sommi, nella collezione di Adornetto non mancano Claude Debussy, col preludio Les collines d’Anacapri, morbido, arioso, sognante, né Francis Poulenc (1899-1963), con la Suite Napoli del 1925: una Barcarola, piuttosto mossa; un Notturno attonito in cui s’insinua uno squarcio di sonorità più intense; indi un “Capriccio italiano” a rotta di collo, tutto a salti e balzi, con qualche fugace aperçu cantabile. Pregevole l’esecuzione di Adornetto: limpida nella concezione della forma, preziosa nei particolari, misurata, attenta alle tante sfaccettature del suono.
Il secondo cd è dedicato a Johannes Brahms, interprete il duo pianistico di Padova formato da Leonora Armellini e Mattia Ometto (C00138). La Sonata per due pianoforti in Fa minore op. 34bis è una trascrizione che lo stesso Brahms ricavò da un Quintetto per archi (con due violoncelli); la eseguì egli stesso con Carl Tausig nel 1864. In seguito, accogliendo il suggerimento di due amici fuoriclasse come la pianista Clara Schumann e il violinista Joseph Joachim, il compositore rifuse l’organico facendone un Quintetto per pianoforte e archi, quello che tutti gli amatori oggi conoscono e ammirano. La composizione ha quattro tempi: un vigoroso Allegro, un Andante interiore e meditativo, uno Scherzo baldanzoso, e il Finale possente, animato, talvolta agitato, ma aperto e concluso da una frase distesa, quasi fantasiosa.
L’esecuzione dei due pianisti è sempre ben bilanciata: energica eppure morbida, cantabile, equilibrata nelle sonorità, intensa nel forte, soave nei momenti di abbandono. Altrettanta perizia mostrano nelle Variazioni su un tema di Joseph Haydn, composte per due pianoforti nel 1873, orchestrate l’anno successivo. Nell’Ottocento la stesura pianistica di una composizione rappresenta spesso il primo passo verso una realizzazione orchestrale: come il disegno rispetto alla tela o all’affresco. Ciò non toglie che in molti casi, come questo, la versione pianistica abbia il suo intrinseco valore estetico. Se da un lato, nella versione per due pianoforti, la composizione brahmsiana perde i cento colori dell’orchestra, è pur vero che l’intreccio delle linee melodiche e lo sbalzo dei piani musicali vi risaltano con grande nettezza: e tali aspetti Armellini e Ometto fanno emergere in maniera inappuntabile.