Falso, omessa denuncia, favoreggiamento e calunnia. La Procura di Roma ha chiesto,a vario titolo, il rinvio a giudizio per gli otto carabinieri indagati nell’inchiesta sul depistaggio innescato dopo la morte di Stefano Cucchi. Sollecitato il processo tra gli altri per il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti capo del Gruppo Roma, e per il colonnello Lorenzo Sabatino, già capo del Nucleo operativo di Roma. L’inchiesta era stata chiusa il 19 marzo scorso. Il pm di Roma Giovanni Musarò ha individuato una “sorta di strategia” nelle azioni portate avanti ai più livelli dai militari dell’Arma. Il geometra romano arrestato per droga il 15 ottobre 2009 morì dopo una settimana all’ospedale Pertini in seguito, questa la ricostruzione degli inquirenti, a un pestaggio. A processo per questo ci sono già cinque militari dell’Arma Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco, Roberto Mandolini, Vincenzo Nicolardi. I primi tre imputati di omicidio preterintenzionale, Mandolini di calunnia e falso, e Nicolardi di calunnia.
Ora rischiano il processo, a vario titolo, il generale Alessandro Casarsa (all’epoca dei fatti capo del Gruppo Roma) e il colonnelloLorenzo Sabatino (ex capo del nucleo operativo di Roma). Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma; Luciano Soligo, all’epoca dei fatti maggiore dell’Arma e comandante della compagnia Roma Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all’epoca in servizio alla stazione di Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei Carabinieri e il carabiniere Luca De Cianni a cui è contestato il reato di falso e di calunnia. In particolare, quest’ultimo, per aver accusato Riccardo Casamassima, il carabiniere testimone che ha fatto riaprire le indagini, di aver dichiarato il falso agli inquirenti. “Nell’ottobre 2009, il maresciallo Roberto Mandolini – aveva raccontato l’appuntato Casamassima – si è presentato in caserma: mi confidò che c’era stato un casino perché un giovane era stato massacrato di botte dai ragazzi, quando si riferì ai ragazzi l’idea era che erano stati i militari che avevano proceduto all’arresto”.
“Da Casarsa partì ordine di falsificare annotazioni”
Gli inquirenti – stando alla chiusura indagini – hanno creato una filiera di falsi, alterazione di documenti, report riservati avuti in anticipo e interventi per modificare atti ufficiali come è emerso nel processo a carico degli altri. Secondo gli inquirenti la catena dei falsi legata alle note sullo stato di salute di Cucchi, partì da Casarsa. In particolare nel capo di imputazione i magistrati di piazzale Clodio contestano al generale, a Cavallo, a Di Sano, a Colombo Labriola e Soligo, il reato di falso ideologico. I pm affermano che gli indagati “avrebbero attestato il falso in una annotazione di servizio, datata 26 ottobre 2009, relativamente alle condizioni di salute di Cucchi”, arrestato dai carabinieri di Roma Appia e portato nelle celle di sicurezza di Tor Sapienza, tra il 15 e il 16 ottobre del 2009. Per l’accusa il falso fu confezionato “con l’aggravante di volereprocurare l’impunità dei carabinieri della stazione Appia responsabili di avere cagionato a Cucchi le lesioni che nei giorni successivi gli determinarono il decesso”.
Le modifiche alle annotazioni sulle condizioni di salute
Un “falso” quelle sulle annotazioni emerso nel corso del processo davanti alla prima corte d’Assise. Il luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, indagato, ha affermato davanti ai giudici che “durante la visita del comandante nella Compagnia mi disse che le annotazioni redatte dai carabinieri Colicchio e Di Sano non andavano bene perché il contenuto era ridondante, erano estremamente particolareggiate e nelle stesse si esprimevano valutazioni medico-legali che non competevano a loro”. Di lì, i nuovi file, poi ritornati indietro con il testo cambiato e la scritta “meglio così”. Agli anche l’intercettazione in cui Colombo Labriola racconta come andò. Il muro di silenzio sul caso Cucchi è crollato l’11 ottobre quando in aula nel processo già in corso è emersa la testimonianza di uno dei carabinieri imputati, Francesco Tedesco, che in una denuncia ah accusato due colleghi: ha “Fu pestato da Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro“. Da allora gli inquirenti hanno pian piano ricostruito il depistaggio fino ad arrivare agli altri.
La nota del 26 ottobre falsificata: “Dolorante per umidità e magrezza”
In quella nota falsa si riferiva che l’arrestato riferiva “di essere dolorante alle ossa sia per la temperatura fredda/umida che per la rigidità della tavola del letto ove comunque aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata per la sua accentuata magrezza omettendo ogni riferimento alle difficoltà di deambulare accusate da Cucchi”. Dunque dolori causati dal letto, dal freddo e dalla magrezza, secondo i carabinieri. “Casarsa, rapportandosi con Soligo, sia direttamente sia per il tramite di Cavallo, chiedeva che il contenuto della prima annotazione (redatta da Di Sano) fosse modificato – è detto nel capo di imputazione – nella parte relativa alle condizioni di salute di Cucchi”. Cavallo, dal canto suo, “rapportandosi direttamente sia con Casarsa che con Soligo chiedeva a quest’ultimo che il contenuto di quella prima annotazione fosse modificato“.
Soligo, secondo i pm, “veicolando una disposizione proveniente dal Gruppo Roma ordinava a Di Sano, anche per il tramite di Colombo e Labriola, di redigere una seconda annotazione di servizio, con data falsa del 26 ottobre 2009 nella quale si attestava falsamente che “Cucchi riferiva di essere dolorante alle ossa sia per la temperatura fredda/umida che per la rigidità della tavola del letto ove comunque aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata per la sua accentuata magrezza omettendo ogni riferimento alle difficoltà di deambulare accusate da Cucchi”. In una seconda annotazione lo “stato di malessere” fu attributo “al suo stato di tossicodipendenza”. La procura sottolinea che il carabiniere scelto Gianluca Colicchio (non indagato ndr) fu “indotto a sottoscrivere il giorno dopo una nota in cui falsamente attribuiva allo stesso Cucchi ‘uno stato di malessere generale, verosimilmente attribuito al suo stato di tossicodipendenza’, omettendo ogni riferimento ai dolori al capo e ai tremori manifestati dall’arrestato”.
Sabatino e Testarmata, secondo i pm, non denunciarono le falsificazioni delle note redatte dopo la morte del geometra pur essendone venuti a conoscenza. “Gli ufficiali – si legge nella notifica di chiusura delle indagini – resisi conto che due annotazioni di pg del 26 ottobre 2009 erano ideologicamente false, in merito alle condizioni di salute di Cucchi, omettevano di presentare denuncia“. I due rispondono di omessa denuncia e anche di favoreggiamento, per aver “aiutato i responsabili ad eludere le investigazioni dell’autorità”. Testarmata è contestato il reato di favoreggiamento anche perché, nel novembre del 2015 quando gli venne chiesto dai superiori di prelevare il registro della compagnia Casilina relativo alla notte dell’arresto di Stefano Cucchi, non lo prese. La scelta fu dettata, secondo chi indaga, dal fatto che si era reso conto che nel registro erano stati cancellati con il bianchetto dettagli relativi alla vicenda.
Il caso del fotosegnalamento e lo sbianchettamento
C’è anche la vicenda del fotosegnalamento, tra gli episodi contestati nell’ambito dell’atto di chiusura della indagini sui depistaggi legati alla morte del geometra romano. In particolare i pm contestano al comandante Testarmata il favoreggiamento in quanto l’ufficiale recatosi “il 4 novembre del 2015 presso la compagnia Casilina per acquisire una serie di atti” si è reso conto che “il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento della Compagnia di Roma Casilina era stato alterato”.
In particolare “era stato cancellato con il bianchetto – scrivono i pm – il passaggio di un soggetto dalla sala Spis nella giornata del 16 ottobre del 2009 (giorno dell’arresto di Cucchi)”. Secondo l’accusa Testarmata ha “omesso di prelevare il registro in originale nonostante fosse stato ripetutamente ed esplicitamente stimolato in tal senso dal maggiore Pantaleone Grimaldi(comandante della compagnia Casilina) e dal tenente Carmelo Beringheli (comandante del nucleo operativo di Casilina)”. Su questo punto, nell’udienza del processo bis a carico dei cinque carabinieri, nei giorni scorsi era tornato il maggiore Paolo Unali, comandante della Compagnia Casilina all’epoca dei fatti. Sentito come testimone, l’ufficiale aveva affermato che i colleghi gli “dissero che non riuscirono a fare il fotosegnalamento perché il detenuto era poco collaborativo, al punto che non voleva entrare in cella”. Altro tassello dell’attività di depistaggio è rappresentato appunto dallo ‘sbianchettamento’ sul registro degli arrestati del nome di Cucchi che fu sostituito con quello di un altro arrestato. Sul documento un rigo è cancellato con il bianchetto: sotto alla casella con il nome di Misic Zoran si intravede, eliminato successivamente, quello del 31enne.
Giustizia & Impunità
Stefano Cucchi, la procura di Roma chiede il processo per gli otto carabinieri indagati per il depistaggio
Falso, omessa denuncia, favoreggiamento e calunnia. Il pm Giovanni Musarò ha chiesto, a vario titolo, il rinvio a giudizio tra gli altri per il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti capo del Gruppo Roma, e per il colonnello Lorenzo Sabatino, già capo del Nucleo operativo di Roma
Falso, omessa denuncia, favoreggiamento e calunnia. La Procura di Roma ha chiesto,a vario titolo, il rinvio a giudizio per gli otto carabinieri indagati nell’inchiesta sul depistaggio innescato dopo la morte di Stefano Cucchi. Sollecitato il processo tra gli altri per il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti capo del Gruppo Roma, e per il colonnello Lorenzo Sabatino, già capo del Nucleo operativo di Roma. L’inchiesta era stata chiusa il 19 marzo scorso. Il pm di Roma Giovanni Musarò ha individuato una “sorta di strategia” nelle azioni portate avanti ai più livelli dai militari dell’Arma. Il geometra romano arrestato per droga il 15 ottobre 2009 morì dopo una settimana all’ospedale Pertini in seguito, questa la ricostruzione degli inquirenti, a un pestaggio. A processo per questo ci sono già cinque militari dell’Arma Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco, Roberto Mandolini, Vincenzo Nicolardi. I primi tre imputati di omicidio preterintenzionale, Mandolini di calunnia e falso, e Nicolardi di calunnia.
Ora rischiano il processo, a vario titolo, il generale Alessandro Casarsa (all’epoca dei fatti capo del Gruppo Roma) e il colonnelloLorenzo Sabatino (ex capo del nucleo operativo di Roma). Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma; Luciano Soligo, all’epoca dei fatti maggiore dell’Arma e comandante della compagnia Roma Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all’epoca in servizio alla stazione di Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei Carabinieri e il carabiniere Luca De Cianni a cui è contestato il reato di falso e di calunnia. In particolare, quest’ultimo, per aver accusato Riccardo Casamassima, il carabiniere testimone che ha fatto riaprire le indagini, di aver dichiarato il falso agli inquirenti. “Nell’ottobre 2009, il maresciallo Roberto Mandolini – aveva raccontato l’appuntato Casamassima – si è presentato in caserma: mi confidò che c’era stato un casino perché un giovane era stato massacrato di botte dai ragazzi, quando si riferì ai ragazzi l’idea era che erano stati i militari che avevano proceduto all’arresto”.
“Da Casarsa partì ordine di falsificare annotazioni”
Gli inquirenti – stando alla chiusura indagini – hanno creato una filiera di falsi, alterazione di documenti, report riservati avuti in anticipo e interventi per modificare atti ufficiali come è emerso nel processo a carico degli altri. Secondo gli inquirenti la catena dei falsi legata alle note sullo stato di salute di Cucchi, partì da Casarsa. In particolare nel capo di imputazione i magistrati di piazzale Clodio contestano al generale, a Cavallo, a Di Sano, a Colombo Labriola e Soligo, il reato di falso ideologico. I pm affermano che gli indagati “avrebbero attestato il falso in una annotazione di servizio, datata 26 ottobre 2009, relativamente alle condizioni di salute di Cucchi”, arrestato dai carabinieri di Roma Appia e portato nelle celle di sicurezza di Tor Sapienza, tra il 15 e il 16 ottobre del 2009. Per l’accusa il falso fu confezionato “con l’aggravante di volereprocurare l’impunità dei carabinieri della stazione Appia responsabili di avere cagionato a Cucchi le lesioni che nei giorni successivi gli determinarono il decesso”.
Le modifiche alle annotazioni sulle condizioni di salute
Un “falso” quelle sulle annotazioni emerso nel corso del processo davanti alla prima corte d’Assise. Il luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, indagato, ha affermato davanti ai giudici che “durante la visita del comandante nella Compagnia mi disse che le annotazioni redatte dai carabinieri Colicchio e Di Sano non andavano bene perché il contenuto era ridondante, erano estremamente particolareggiate e nelle stesse si esprimevano valutazioni medico-legali che non competevano a loro”. Di lì, i nuovi file, poi ritornati indietro con il testo cambiato e la scritta “meglio così”. Agli anche l’intercettazione in cui Colombo Labriola racconta come andò. Il muro di silenzio sul caso Cucchi è crollato l’11 ottobre quando in aula nel processo già in corso è emersa la testimonianza di uno dei carabinieri imputati, Francesco Tedesco, che in una denuncia ah accusato due colleghi: ha “Fu pestato da Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro“. Da allora gli inquirenti hanno pian piano ricostruito il depistaggio fino ad arrivare agli altri.
La nota del 26 ottobre falsificata: “Dolorante per umidità e magrezza”
In quella nota falsa si riferiva che l’arrestato riferiva “di essere dolorante alle ossa sia per la temperatura fredda/umida che per la rigidità della tavola del letto ove comunque aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata per la sua accentuata magrezza omettendo ogni riferimento alle difficoltà di deambulare accusate da Cucchi”. Dunque dolori causati dal letto, dal freddo e dalla magrezza, secondo i carabinieri. “Casarsa, rapportandosi con Soligo, sia direttamente sia per il tramite di Cavallo, chiedeva che il contenuto della prima annotazione (redatta da Di Sano) fosse modificato – è detto nel capo di imputazione – nella parte relativa alle condizioni di salute di Cucchi”. Cavallo, dal canto suo, “rapportandosi direttamente sia con Casarsa che con Soligo chiedeva a quest’ultimo che il contenuto di quella prima annotazione fosse modificato“.
Soligo, secondo i pm, “veicolando una disposizione proveniente dal Gruppo Roma ordinava a Di Sano, anche per il tramite di Colombo e Labriola, di redigere una seconda annotazione di servizio, con data falsa del 26 ottobre 2009 nella quale si attestava falsamente che “Cucchi riferiva di essere dolorante alle ossa sia per la temperatura fredda/umida che per la rigidità della tavola del letto ove comunque aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata per la sua accentuata magrezza omettendo ogni riferimento alle difficoltà di deambulare accusate da Cucchi”. In una seconda annotazione lo “stato di malessere” fu attributo “al suo stato di tossicodipendenza”. La procura sottolinea che il carabiniere scelto Gianluca Colicchio (non indagato ndr) fu “indotto a sottoscrivere il giorno dopo una nota in cui falsamente attribuiva allo stesso Cucchi ‘uno stato di malessere generale, verosimilmente attribuito al suo stato di tossicodipendenza’, omettendo ogni riferimento ai dolori al capo e ai tremori manifestati dall’arrestato”.
Sabatino e Testarmata, secondo i pm, non denunciarono le falsificazioni delle note redatte dopo la morte del geometra pur essendone venuti a conoscenza. “Gli ufficiali – si legge nella notifica di chiusura delle indagini – resisi conto che due annotazioni di pg del 26 ottobre 2009 erano ideologicamente false, in merito alle condizioni di salute di Cucchi, omettevano di presentare denuncia“. I due rispondono di omessa denuncia e anche di favoreggiamento, per aver “aiutato i responsabili ad eludere le investigazioni dell’autorità”. Testarmata è contestato il reato di favoreggiamento anche perché, nel novembre del 2015 quando gli venne chiesto dai superiori di prelevare il registro della compagnia Casilina relativo alla notte dell’arresto di Stefano Cucchi, non lo prese. La scelta fu dettata, secondo chi indaga, dal fatto che si era reso conto che nel registro erano stati cancellati con il bianchetto dettagli relativi alla vicenda.
Il caso del fotosegnalamento e lo sbianchettamento
C’è anche la vicenda del fotosegnalamento, tra gli episodi contestati nell’ambito dell’atto di chiusura della indagini sui depistaggi legati alla morte del geometra romano. In particolare i pm contestano al comandante Testarmata il favoreggiamento in quanto l’ufficiale recatosi “il 4 novembre del 2015 presso la compagnia Casilina per acquisire una serie di atti” si è reso conto che “il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento della Compagnia di Roma Casilina era stato alterato”.
In particolare “era stato cancellato con il bianchetto – scrivono i pm – il passaggio di un soggetto dalla sala Spis nella giornata del 16 ottobre del 2009 (giorno dell’arresto di Cucchi)”. Secondo l’accusa Testarmata ha “omesso di prelevare il registro in originale nonostante fosse stato ripetutamente ed esplicitamente stimolato in tal senso dal maggiore Pantaleone Grimaldi(comandante della compagnia Casilina) e dal tenente Carmelo Beringheli (comandante del nucleo operativo di Casilina)”. Su questo punto, nell’udienza del processo bis a carico dei cinque carabinieri, nei giorni scorsi era tornato il maggiore Paolo Unali, comandante della Compagnia Casilina all’epoca dei fatti. Sentito come testimone, l’ufficiale aveva affermato che i colleghi gli “dissero che non riuscirono a fare il fotosegnalamento perché il detenuto era poco collaborativo, al punto che non voleva entrare in cella”. Altro tassello dell’attività di depistaggio è rappresentato appunto dallo ‘sbianchettamento’ sul registro degli arrestati del nome di Cucchi che fu sostituito con quello di un altro arrestato. Sul documento un rigo è cancellato con il bianchetto: sotto alla casella con il nome di Misic Zoran si intravede, eliminato successivamente, quello del 31enne.
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La corsa militare dell’Europa innesca una ondata di vendite sui debiti dei Paesi: su gli interessi
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.