Passa da accuse di maschilismo e giustizialismo al Partito democratico la difesa di Catiuscia Marini, dopo le dimissioni da governatrice dell’Umbria, indagata a Perugia nell’ambito dell’inchiesta sui concorsi truccati e le assunzioni di raccomandati nella Sanità regionale. Ma non spiega nulla sulle accuse che la riguardano. “Pensavo che il Pd del 2019 fosse una forza riformista e garantista, non una comunità di giustizialisti. Mi sbagliavo”, dice la ormai ex presidente della Regione a Repubblica. L’accusa è rivolta in primis al Nicola Zingarettiche martedì aveva auspicato una decisione “responsabile” della sua collega di partito, di fatto scaricandola. “Il Pd non può essere giustizialista, è una malattia. I processi non si fanno così”, rincara la dose Marini in un’intervista al Messaggero, dove aggiunge: “Ho un dubbio. Se fossi stato un presidente uomo il mio partito si sarebbe comportato alla stessa maniera? Ho letto brutte dichiarazioni e ho notato atteggiamenti che non mi sono piaciuti”. L’ex governatrice indagata rilancia: “Ecco, alla fine non vorrei essere l’Ignazio Marino di Zingaretti”, citando il caso dell’ex sindaco di Roma.

Marino fu fatto dimettere nell’ottobre 2015 dal Pd allora a guida Renzi dopo la vicenda degli scontrini per cui è stato poi assolto in Cassazione. Catiuscia Marini invece è indagata per concorso in abuso d’ufficio, violazione di segreto e falso: è considerata dagli inquirenti tra i “concorrenti morali ed istigatori” del sistema per spartirsi le assunzioni nella Sanità umbra. Ma l’ex governatrice dell’inchiesta non parla e sul merito non viene incalzata. “Per quanto mi riguarda sono tranquilla. Non ho mai parlato con nessuno del mio decreto per le assunzioni”, è la sua breve replica al Messaggero. “Attendo di essere chiamata dai magistrati. Fino ad allora dell’inchiesta non parlo e non dico nulla neanche adesso”, spiega invece nel corso dell’intervista a Repubblica. Per proclamarsi innocente Marini rivendica il suo passato: “Questa inchiesta è la prima che mi riguarda dopo quasi 20 anni, 10 da sindaco e 10 da governatrice. Non le dice niente sulla mia correttezza“. E ancora: “Chi mi conosce lo sa: non sono attaccata alla poltrona e la mia storia lo testimonia”.

“Il giustizialismo è una malattia”
Per motivare le sue dimissioni, Marini dice di voler “tutelare il lavoro di questi anni, non voglio che siano messi in discussione il mio ruolo e la mia onorabilità“. “Ho sempre combattuto i sistemi di potere e le consorterie”, sostiene, quindi “non l’ho fatto per il partito, l’ho fatto per me”. Per il suo partito, il Pd, arrivano invece le critiche: “Non dobbiamo tornare indietro di 30-40 anni. Il giustizialismo è una malattia“, afferma la governatrice dimissionaria che accusa la nuova segretaria di inseguire i Cinquestelle sul tema: “Ho letto le dichiarazioni di Paola De Micheli, braccio destro del segretario, che si vanta di non aver mai chiesto le dimissioni di Virginia Raggi a Roma. Ma come si fa? Che politica è questa? Non vorrei che il Pd perdesse la bussola riformista che l’ha contraddistinto finora”, attacca Marini. Che dice di aver “spiegato tutto” al suo partito e che “il Pd dovrebbe affrontare anche il tema di come si pone di fronte alle inchieste, non solo all’inchiesta in cui sono coinvolta; di come si garantisce il rispetto delle persone indagate”.

“I governatori maschi sono stati difesi”
Nonostante le critiche, Marini si dice comunque certa di rimanere tra i democratici: “La mia è stata una decisione politica anche per non inficiare le Europee. Almeno nessuno potrà dire nulla…”. Un’accusa a Zingaretti? “Ci siamo sentiti al telefono, ci conosciamo da trent’anni, ma se fossi stata un uomo si sarebbe comportato così? Sono molto perplessa“. Il “dubbio” di una disparità di trattamento perché donna viene espresso sia a Repubblica che al Messaggero: “Proprio così. Basta vedere come sono stati difesi dal Pd governatori maschi coinvolti in indagini con reati in alcuni casi piuttosto gravi. Sicuramente più gravi di quello per cui sono indagata a Perugia. Perché presumendo l’illiceità dei miei comportamenti stiamo parlando di concorso in abuso d’ufficio“, si difende Marini, con un riferimento implicito alle vicende che negli anni hanno coinvolto Marcello Pittella in Basilicata, Vincenzo De Luca in Campania o per ultimo Michele Emiliano in Puglia.

E poi c’è il riferimento, quello esplicito, alla vicenda dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino assolto per la vicenda degli scontrini che gli costò la carica: “Un amministratore pubblico, come me, parla con tante persone, sta in mezzo alla società, non si può usare questo approccio così giustizialista, insisto”, dice l’ex governatrice. Proprio Matteo Renzi che all’epoca guidava il Pd e insieme a Matteo Orfini decise la caduta di Marino con un atto notarile, è sta tra coloro che hanno contatto Marini dopo le dimissioni: “Sì, mi ha mandato un messaggio che ho molto apprezzato. Cosa c’era scritto? Lo tengo per me”.

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