Su Alitalia c’è una sola certezza. “Siamo veramente al fotofinish di questa lunga, lunga gara” come ha spiegato il vicepremier Luigi Di Maio nell’assemblea Unioncamere. Con Atlantia che si chiama fuori dalla partita per il salvataggio dell’ex compagnia di bandiera: “Non c’è nulla, il cda non hai mai affrontato il tema, noi siamo azionisti dell’hub di Fiumicino, e speriamo che venga rilanciata, salvata e ristrutturata per poter competere” ha spiegato in assemblea l’amministratore delegato di Atlantia, Giovanni Castellucci. Il manager ha poi ricordato come Autostrade per l’Italia, controllata dal gruppo della famiglia Benetton, è in attesa “di autorizzazione – da parte del ministero dei trasporti – su progetti pronti a partire con cantieri per circa 4,9 miliardi di euro” relativi in particolare alla Gronda di Genova e al Passante di Bologna. Quanto all’ipotesi di revoca della concessione, “l’unico elemento nuovo è che il governo ci ha esteso i termini per dare una risposta compiuta fino al 3 maggio” come ha chiarito il manager.
Secondo il Mise, le due partite Alitalia e Autostrade per l’Italia non sarebbero però correlate. E non ci sarebbe alcun pressing del governo per spingere Atlantia a partecipare al salvataggio dell’ex compagnia di bandiera. “Non c’entrano niente le due cose e quello che stanno facendo i commissari non c’entra con quello che sta avvenendo nella commissione del ministero dei Trasporti sulle indagini e gli accertamenti sul Ponte Morandi e su quello che non ha fatto Autostrade in questi anni” ha concluso Di Maio. Eppure è evidente che si tratta di vicende incrociate visto che Atlantia, controllata dalla famiglia Benetton, è azionista di riferimento di Autostrade per l’Italia e degli Aeroporti di Roma. Non a caso del resto, ai tempi dei capitani coraggiosi, i Benetton decisero di sostenere il salvataggio di Alitalia poi degenerato in una nuova crisi. Per non parlare del fatto che Intesa e Unicredit, già socie e creditrici di Alitalia, hanno intensi rapporti finanziari anche con il gruppo della famiglia Benetton.
In Atlantia, che non smania certo per ritentare il salvataggio Alitalia, le risorse non mancherebbero. La società ha chiuso il 2018 con 11 miliardi di fatturato e un margine lordo da 7,3 miliardi. Una gallina dalle uova d’oro capace di staccare una cedola da 743 milioni nonostante l’impatto sui conti della tragedia di Genova.
Il monte dividendi è decisamente importante soprattutto se si pensa che al governo basterebbero circa 400 milioni per chiudere la partita Alitalia. Tanto manca all’appello per definire il nuovo assetto azionario dell’ex compagnia di bandiera entro la fine di aprile. Le Ferrovie si sono infatti impegnate a sottoscrivere una quota pari al 30 per cento del capitale. Il Tesoro, che ha già prestato 900 milioni alla ex compagnia di bandiera, è disposto a convertire parte del finanziamento in azioni. A patto che si tratti di una partecipazione non superiore al 15 per cento. Infine, anche la compagnia statunitense Delta si è detta pronta ad entrate nella partita con il 15 per cento della newco. Se Atlantia prendesse il 40 per cento della nuova Alitalia, si chiuderebbe il cerchio. Ma il gruppo dei Benetton non crede più come in passato alla possibilità di sinergie fra Aeroporti di Roma e l’ex compagnia di bandiera. Inoltre per il governo, in termini di immagine e credibilità, il prezzo dell’intervento dei Benetton potrebbe essere molto alto. Il motivo? “Con l’ingresso in Alitalia, Atlantia si comprerebbe l’archiviazione delle promesse di nazionalizzazione delle gestioni autostradali che avete fatto davanti alle macerie e alle vittime a Genova” come ha sintetizzato il deputato Leu, Stefano Fassina.