Se alla Camera prosegue la discussione in merito alla proposta di legge sull’eutanasia depositata nel 2013 dall’associazione Luca Coscioni, fuori del Parlamento è aperto il dibattito su quale sarà il ruolo dei medici nel caso in cui venisse abrogato o modificato l’articolo 580 del codice penale, che prevede pene fino a 12 anni per l’istigazione o l’aiuto al suicidio. La discussione si è accesa dopo l’invio da parte della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) a tutti gli Ordini provinciali e al presidente del Comitato nazionale di bioetica, Lorenzo D’Avack, di un parere sul tema del suicidio assistito firmato dal presidente Filippo Anelli. “Ove il legislatore ritenga di modificare l’articolo 580 del codice penale – è il passaggio più contestato – e, quindi, di non ritenere più sussistente la punibilità del medico che agevoli ‘in qualsiasi modo l’esecuzione’ del suicidio, restano valide e applicabili le regole deontologiche attualmente previste dal Codice di deontologia medica”.

SI ACCENDE IL DIBATTITOHa parlato di “delirio di onnipotenza” Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni che, per aver aiutato l’ex dj Fabiano Antoniani a porre fine alla sua vita è finito sotto processo e rischia dai 5 ai 12 anni. La discussione sulla legge, d’altro canto, è iniziata proprio su sollecito della Corte Costituzionale che, chiamata a pronunciarsi sul caso, ha chiesto al Parlamento di legiferare entro il 24 settembre. Per Cappato è inaccettabile che si ponga il Codice davanti alla legge dello Stato. Ilfattoquotidiano.it ha sentito sul merito il consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni e medico anestesista di Piergiorgio Welby, Mario Riccio, che ha lanciato un appello, insieme a una settantina di colleghi, affinché i medici prendano posizione rispetto al parere dell’Ordine, ma anche il diretto interessato. Il presidente Anelli conferma sì quanto scritto, ma sottolinea che “il codice a cui si ispirano i medici deve, a sua volta, seguire i principi della Costituzione”.

IL PARERE DELL’ORDINE E L’AUTONOMIA DELLA DISCIPLINA DEONTOLOGICA – Torniamo al parere contestato. “La norma deontologica – premette Anelli – costituisce la regola fondamentale e primaria che guida l’autonomia e la responsabilità del medico”. E a questa norma, quella deontologica che – secondo il presidente dell’Ordine – il medico “deve ispirare il proprio comportamento”, rappresentando anche “una protezione del professionista e del paziente rispetto a interventi del potere politico o di altri poteri dello Stato”. Poi ci sono alcuni passaggi sull’importanza delle cure palliative, necessarie “per evitare che la richiesta suicidaria possa essere motivata dalla carenza di cure e dal non prendersi cura sul piano clinico, spirituale e sociale”. L’Ordine ricorda poi che il Codice di Deontologia Medica, nella sua formulazione attuale, “impedisce al medico di effettuare o favorire atti finalizzati a provocare la morte del paziente”, imponendo però di rispettare la dignità del paziente “evitando ogni forma di accanimento terapeutico”. Ma cosa accadrà se il Parlamento dovesse modificare la legge 580 del codice penale, facendola entrare in conflitto con il codice? Il parere è chiaro: “Restano valide e applicabili le regole deontologiche attualmente previste nel Codice”.

L’APPELLO DEL MEDICO DI WELBY – E l’articolo 17 del Codice recita: “Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte”. Il conflitto con la legge in discussione è palese. Ed è per questo che il consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni Mario Riccio ha lanciato un appello ai colleghi. “Nutro diverse perplessità su quanto scritto da Anelli” spiega a ilfattoquotidiano.it. La prima riguarda la fedeltà del medico al codice anche ‘ove il legislatore ritenga di modificare l’articolo 580 del codice penale’. Si afferma così che il codice deontologico è superiore a una legge dello Stato”. Per Riccio è possibile che sia stato il testo sul Biotestamento, secondo cui il paziente ‘non può esigere trattamenti sanitari contrari alla deontologia professionale’, a innescare “la convinzione che il codice deontologico superi la legge. Così non è”. Riccio ricorda che i medici, esattamente come qualsiasi cittadino, hanno l’obbligo di rispettare le norme dello Stato, “tanto più che si rischia la radiazione dall’Ordine e, quindi, la perdita del lavoro”. Tra l’altro, ricorda il medico di Welby, è già accaduto che il Codice deontologico sia stato modificato in seguito all’entrata in vigore di una legge. “È avvenuto con la 194/1978” continua Riccio, citando la legge sull’aborto: “Il Codice vietava di eseguire interruzioni volontarie di gravidanza ma venne modificato dall’entrata in vigore della nuova norma”. Poi ci sarebbe un problema di opportunità: “Quella espressa dall’Ordine non è una posizione rappresentativa di tutti i medici, mentre da una nota ufficiale ci si aspetterebbe proprio questo”. Sempre Riccio: “Avrei compreso molto di più un passaggio sulla necessità di prevedere un articolo che riconosca l’obiezione di coscienza, cosa su cui, tra l’altro, sarei stato d’accordo”.

LA REPLICA – Sentito da ilfattoquotidiano.it, Filippo Anelli ribadisce la posizione dell’ordine. “Uscendo dalla questione puramente ideologica, ad oggi legge e codice non sono in conflitto” dice. Ma non è escluso che questo accada. Cosa accadrà allora? Quale strada dovranno seguire i medici? “Io ribadisco che, se cambia la legge, i principi del codice vanno rispettati e sarà il Consiglio nazionale a definirli”. E il Consiglio potrà farlo andando contro ciò che stabilisce una norma dello Stato? “Penso che i due aspetti non debbano andare in contrasto – replica Anelli – perché il Codice trova ispirazione nei principi della Costituzione, gli stessi che deve rispettare anche la legge dello Stato. Ed è qui che si troverà un punto di equilibrio”. Non quindi nel rispetto della legge, ma nella Carta Costituzionale. La posizione rispetto al legislatore resta ferma, dunque, anche se il dibattito è in piena evoluzione. “Il codice è già cambiato nella storia – conclude Anelli – e si tratta di processi inevitabili che vanno condotti considerando ciò che avviene nella società. Oggi noi ci interroghiamo e discutiamo di quelli che dovranno essere i limiti dell’esercizio della professione nel rispetto per la dignità del paziente. E questo al di là del legislatore”. In un’intervista pubblicata mercoledì dal quotidiano La Verità, Anelli aggiunge, a proposito dell’articolo 17 del Codice di deontologia medica, che “il signor Ippocrate, che da 2.400 anni rappresenta la categoria, sarebbe contento” se venisse rispettato

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