Mentre Matteo Salvini impazza nel suo delirio egemonico, arrivando al commissariamento prefettizio dei sindaci, la puntata di Otto e mezzo su La7 del 17 aprile è stata l’ennesima conferma del vassallaggio linguistico (che poi è culturale) di una Sinistra benpensante e titubante nei confronti della Destra tracotante.
Iniziava la conduttrice evocando sulle dimissioni della presidentessa della Regione Umbria il fantasma “giustizialismo” (fantoccio polemico creato dagli spin-doctor berlusconiani, già al tempo di Mani Pulite, per cui il movimento peronista anni 50 diventava sinonimo di uso persecutorio della giustizia). Proseguiva la candidata alle Europee Alessandra Moretti, proponendo il solito tema sicuritario come piattaforma per il rilancio del fantasmatico Pd in cui milita (accompagnandone tutte le evoluzioni: da Pierluigi Bersani a Nicola Zingaretti passando per Matteo Renzi). Poi, davanti al severo cipiglio di un Tomaso Montanari alla Piero Calamandrei (e nell’intento di rifarsi una verginità dopo la catastrofe personale alle regionali venete), precisava di riferirsi a “sicurezza garantita da diritti”. E Massimo Cacciari, una volta tanto benevolo (o ancora una volta sensibile all’eterno femminino), gliela faceva passare liscia.
Resta il fatto che la Moretti si candida con un documento programmatico di partito che recepisce alla lettera il mirabolante contributo contenutistico pariolino-confindustriale di Carlo Calenda. In un Pd che continua a sbandierare il formidabile ruolo svolto da Marco Minniti foraggiando kapò libici come risolutori del problema immigrati, quando faceva da battistrada a bulli leghisti nel governo di Paolo Gentiloni.
Tutto questo per dire che “sicurezza” è termine carico di ambiguità, ampiamente strumentalizzato dalla Destra per la sua corsa al potere. Infatti a tale proposito è più preciso l’inglese quando ne sdoppia il significato in due parole diverse: security e safety. La prima significa “sicurezza della propria posizione nella società” (diritti e lavoro), concetto fondativo dell’ordine benevolo di una stagione che inizia in America con il New Deal e in Europa con il Welfare State nei primi 30 anni del Dopoguerra. La seconda parla di incolumità, quell’ansia che si è diffusa a macchia d’olio fino a diventare vera e propria paranoia di massa grazie alle politiche della paura che hanno trasformato in un bronx, in un delirio tipo Fuga da New York (il film catastrofista di John Carpenter), anche buona parte dei nostri più tranquilli paesaggi urbani. Una profezia da far risalire ai telegiornali ansiogeni e tutto effettacci di Emilio Fede su Retequattro, che si è avverata anche grazie alla totale assenza di politiche dell’accoglienza e al diffondersi di azioni mirate a indurre guerre tra poveri per occultare l’inettitudine delle classi di governo, e al tempo incassarne i dividendi in sede elettorale.
Una lezione che noi italioti abbiamo appreso molto bene importandola acriticamente dagli States. La strategia del ribaltamento dei criteri prevalenti dalla solidarietà alla possessività, che i think tanks d’Oltreoceano avevano elaborato in due modalità: appunto, indurre paura per poi agitare il drappo della safety-incolumità. Convincere il ceto medio che era suo interesse pagare meno tasse e sbaraccare il sistema di sicurezze sociali (security), l’infrastruttura pubblica della cittadinanza: sanità, pensioni, scuola. Il tutto coperto da ben studiati slogan (“la società non esiste, esiste solo l’individuo”, “imprenditorializzatevi”, “il consumatore è sovrano”), mentre la solitudine indotta dalle disuguaglianze iniziava a dilagare, cresceva l’espulsione di massa dal lavoro e ora scopriamo come e quanto i nostri comportamenti siano manipolati. L’armamentario della Destra, che una Sinistra inebetita continua a scimmiottare.