Un sequestro preventivo “per equivalente” di 217mila euro è stato eseguito dalla Guardia di finanza all’ex presidente dell’associazione antimafia “Museo della ‘ndrangheta” Claudio La Camera. Lo ha emesso la sezione penale del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dell’aggiunto Gerardo Dominijanni. La Camera è da tempo imputato nel processo nato da un’inchiesta delle Fiamme gialle relativa all’utilizzo dei finanziamenti che la Regione Calabria e la Provincia di Reggio hanno elargito nei confronti dell’associazione culturale “Antigone – Osservatorio sulla ‘ndrangheta”.
Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali, agli accertamenti bancari e a numerosi pedinamenti, l’indagine ha consentito alla Procura di ricostruire un illecito profitto, derivante dalla percezione di contribuzioni pubbliche, quantificato in circa 400mila euro su un totale complessivamente erogato di oltre 800mila. All’epoca condotta dal colonnello Domenico Napolitano (oggi in servizio a Napoli) e proseguita dai suoi successori (i colonnelli Luca Cioffi e Agostino Brigante), l’inchiesta ha fatto luce su un sistema di frode che tra il 2007 e il 2014 è stato “finalizzato – scrive la guardia di finanza – alla distrazione di fondi pubblici”.
Finanziamenti a pioggia che sarebbero dovuti servire all’associazione antimafia per attività di contrasto alla ‘ndrangheta e che, invece, si sono rivelati una giostra di convegni e manifestazioni finalizzati solo all’ottenimento di denaro pubblico.
Fatture false, rimborsi gonfiati e utilizzo di fondi pubblici per spese personali come la riparazione di un’auto, l’acquisto di un iPad e articoli di modellismo. Ma non solo: fatture di importo sovrastimato, documenti che venivano presentati più volte per ottenere più finanziamenti e manifestazioni finanziate dagli enti solo con una parte dei soldi che Regione e Provincia mettevano a disposizione del “Museo della ‘ndrangheta”. Stando alle indagini, infatti, “la truffa è stata consumata, prevalentemente, tramite la rendicontazione di fatture recanti un contrassegno di quietanza non veritiero, in relazione al quale è stato appurato come, a fronte delle spese rendicontate agli enti pubblici, il relativo importo non sia stato (in tutto o in parte) effettivamente corrisposto al fornitore”.
Eppure negli anni l’associazione antimafia ha firmato protocolli di intesa con la prefettura, si è vista assegnare progetti dai vari ministeri e patrocini dalla Presidenza del Consiglio dei ministri ma anche singoli convegni finanziati prima dalla Provincia di Reggio e poi, con un nome diverso ma con le stesse pezze giustificative, pure dalla Regione. Più che lotta alla criminalità organizzata, le carte della guardia di finanza hanno fornito alla Procura una dimostrazione plastica dell’antimafia “con la partita iva”. Nell’inchiesta, originariamente, erano coinvolti anche alcuni funzionari della Regione e della Provincia la cui posizione era stata stralciata.
Secondo gli inquirenti, l’imputato Claudio La Camera avrebbe falsificato alcuni documenti contabili che servivano alla Provincia e alla Regione per giustificare i finanziamenti elargiti. In questo modo, l’indagato avrebbe procurato “a sé ed altri soggetti, in corso di compiuta identificazione, un ingiusto profitto a cui corrispondeva un danno di rilevante gravità per i predetti enti pubblici locali”. Basti pensare che la guardia di finanza ha riscontrato che l’impianto di videosorveglianza della villa confiscata alle cosche, dove aveva sede il “Museo della ‘ndrangheta” (oggi diventato “Osservatorio sulla ‘ndrangheta”), è costato 120mila euro di soldi dei contribuenti. Eppure lo stesso impianto, fatturato 99mila euro da un’azienda di un parente di La Camera, è stato stimato dalla Procura in non più di 30mila euro di valore. Gli investigatori si sono trovati di fronte a una sorta di “scontrinificio” dove l’attività dell’associazione comprendeva anche cene, taxi, auto noleggiate e viaggi ingiustificati (e rimborsati due volte) a Berlino, in Messico, in Perù, a Panama, a Parigi, a Vienna, a Venezia e a Roma. Ma anche assegni a giornalisti locali e nazionali, libri sulla ‘ndrangheta, trascrizione di atti giudiziari (già digitalizzati dalla Procura) e documentari per 30mila euro trasmessi da Rai Educational. Per tutte queste spese, La Camera si trova da tempo sotto processo. A distanza di anni, adesso, la Procura ha chiesto e ottenuto il sequestro dei suoi beni.
AGGIORNAMENTO – Segnaliamo che il 13 aprile 2023 la Corte di Appello di Reggio Calabria ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Claudio La Camera, in ordine ai reati a lui ascritti, perché estinti per prescrizione.