Dopo 18 anni le indagini sulla morte di Serena Mollicone – uccisa l’1 giugno 2001 – si avviano alla conclusione. La procura di Cassino ha infatti inviato l’avviso di chiusura inchiesta per cinque indagati, ovvero tutti i membri della famiglia di Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri del paese in provincia di Frosinone e due altri militari. Rischiano così il processo il maresciallo, la moglie Annamaria e il figlio Marco con l’accusa di omicidio aggravato e occultamento di cadavere così come il sottufficiale dell’Arma Vincenzo Quatrale, indagato per concorso in omicidio, e il carabiniere Francesco Suprano, che deve rispondere di favoreggiamento. E il padre della giovane ha rivolto un appello: “Chi sa di questi cinque, parli“.
La perizia dei Ris e la svolta nelle indagini
Secondo un’informativa dei carabinieri del comando provinciale di Frosinone, redatta sulla scorta di accertamenti del Ris e acquisita già nel febbraio scorso dalla procura di Cassino, Serena fu uccisa, presumibilmente dopo un litigio, negli alloggi della caserma dei carabinieri di Arce. A colpirla, secondo l’accusa, sarebbe stato il figlio di Mottola, Marco. La ricostruzione del delitto tratteggiata dalla perizia medico-legale indicò una compatibilità tra lo sfondamento della porta dell’alloggio della caserma dei carabinieri di Arce e la frattura cranica riportata dalla studentessa. Forse Serena, conclusero i periti, fu spinta durante una lite sbattendo la testa.
Un altro contenuto dell’informativa segnò una svolta nelle indagini: la perizia dei Ris rilevò che il corpo di Serena – trovato due giorni dopo il delitto – fu spostato nel boschetto dell’Anitrella dove poi fu trovato con mani e piedi legati dal nastro adesivo e una busta di plastica in testa.
La storia della vicenda giudiziaria
La vicenda giudiziaria dell’omicidio della diciottenne Serena è stata lunga e tortuosa. Due anni dopo il delitto del 2001 fu arrestato con le accuse di omicidio e occultamento di cadavere Carmine Belli, un carrozziere poi prosciolto nel 2006 da ogni accusa dalla Cassazione. Ad aggiungere mistero ad un caso intricato fu anche il suicidio del carabiniere Santino Tuzi che nel 2008, prima di essere ascoltato dai magistrati, si uccise sparandosi nella sua auto. Tra le ipotesi anche quella che Serena quel giorno andò nella caserma dei carabinieri per denunciare alcuni traffici, forse legati alla droga. Poi la lite e la morte.
Il padre di Serena: “I due carabinieri ritrovino la dignità”
Da quel giorno sono passati 18 anni di indagini e, secondo quanto trapela dagli accertamenti, anche di depistaggi. Ma il padre di Serena ha più volte chiesto verità. E ora ha detto all’Adnkronos: “Faccio un appello: chi sa di questi cinque, parli”. Mollicone si rivolge in particolare “ai due carabinieri che possono ancora parlare e ritrovare la dignità” e si appella affinché dicano “quello che sanno, senza aspettare che sia un processo a stabilirlo” ritrovando così una “dignità” tanto più importante se si “indossa una divisa”. Guglielmo Mollicone resta comunque fiducioso: “C’è la volontà dell’Arma di arrivare alla verità, un’Arma ferita da mele marce ma che è stata la prima a isolare elementi che hanno allontanato la verità”. Ed è grato a chi ha permesso di arrivare alla chiusura delle indagini: “Un ringraziamento agli inquirenti che hanno lavorato con professionalità e volontà ferrea per arrivare a stabilire quello che è successo” oltre che “alla magistratura che ha diretto le indagini, ai carabinieri che hanno lavorato in un modo da ammirare”.