Denys Arcand è tornato. Dal 24 aprile nelle sale italiane arriva La caduta dell’impero americano. 14esimo lungometraggio in oltre cinquant’anni di carriera del regista canadese, québécois, che vinse addirittura l’Oscar per il miglior film straniero nel 2003 per Le invasioni barbariche. La caduta dell’impero americano va a chiudere un’ideale trilogia “sull’impero” iniziata nel lontano 1986 con Il declino dell’impero americano, continuata appunto con Le invasioni barbariche e conclusasi oggi con questo polar venato di commedia e satira sociale.
Protagonista è il 33enne Pierre Paul, filosofo a la page che cita Wittgenstein e Trump, costretto a mantenersi consegnando pacchi. Durante una di queste consegne finisce in mezzo al fuoco incrociato di una rapina finita male con due morti e tanto di valigione pieno zeppo di soldi lasciato davanti alle sue gambe senza che nessuno lo reclami. Il dilemma se raccoglierla o meno dura il tempo di un amen. Pierre Paul fa suo il bottino poi iniziano i rimorsi morali. Inseguito da poliziotti e gang criminali parecchio violente, il protagonista si avvarrà dell’aiuto di un manipolo eccentrico di comprimari (la escort che cita Racine, un mister Wolf delle leggi fiscali) e proverà a dare risposta al cruccio etico solletico dal caso.
Arcand, che i film se li è sempre scritti dalla prima all’ultima scena, aggiorna la tabella degli stimoli causa-effetto sulla popolazione canadese borghese e interroga platealmente lo spettatore attento, adulto e curioso infilando una specie di riedizione de L’argent di Bresson comunque in una confezione ipermoderna di cinema di genere che in alcuni momenti pare un thriller action alla Soderbergh. Pierri Curzi e Remy Girard, attori feticcio di Arcand, ritornano dai tempi de Il declino… ma non c’è continuità tra i personaggi. Lavoro interessante e spassoso, tra i più “dinamici” e meno di “conversazione” del regista di Stardom.