Sei pagine depositate nel corso di un processo a Santa Maria Capua Vetere che vede imputati prestanome del clan dei Casalesi e tecnici comunali di Villa di Briano. Sei pagine con qualche omissis, raccolte dal pm di Napoli Catello Maresca, che raccontano di come la camorra del casertano provò ad avviare una speculazione sui terreni della Curia vescovile di Aversa grazie a un “gancio”: un ingegnere che per conto della Curia trattava la compravendita di questo terreno. L’operazione fallì perché si intromise il superboss Antonio Iovine e fu fatta un’offerta troppo bassa.

A parlarne è un protagonista di prima fila: Nicola Schiavone, il primo figlio di “Sandokan“, Francesco Schiavone. Il pentito sul quale la Dda di Napoli sta lavorando da diversi mesi. E che ha offerto una ricostruzione della vicenda che inizia una dozzina di anni fa. Anni ruggenti per le varie fazioni dei Casalesi. È il 2006 quando Schiavone jr ha notizie di questo terreno da Vincenzo Conte, soprannominato “naso di cane”.

L’affare è ghiotto: oltre 4.000 metri quadrati ben collegati per un appezzamento che “poteva essere acquistato a 7/8 euro al metro quadro”, come suggerito dall’ingegnere incaricato dalla Curia. L’unico ostacolo da risolvere: liquidare i coloni “che vantavano legittimamente diritti di occupazione”. No problem. Racconta Schiavone: “Io tramite Vincenzo Conte incontrai questi coloni e gli assicurai che avrebbero avuto circa 4mila metri quadrati di terreno come da loro richiesta, mentre sulla restante comunque consistente parte, avremmo potuto, grazie ai nostri rapporti con l’amministrazione comunale di Villa di Briano, effettuare una significativa speculazione edilizia. Il mio interesse era quello di acquistare ad un prezzo ritenuto congruo come terreno agricolo, far fare la lottizzazione e rivenderlo con un consistente guadagno”. E qui doveva intervenire la politica per modificare gli strumenti urbanistici. “I nostri rapporti con l’amministrazione Zippo erano assicurati tramite il consigliere Beniamino Guarino, e poi con l’amministrazione Magliulo sempre con lo stesso tramite”, ricorda Schiavone.

Al dunque, però, qualcosa si intoppa. Schiavone jr prima si accorda con l’ingegnere per circa 6 euro al metro quadro, “prezzo già irrisorio”, poi promette che i ricavi della speculazione saranno divisi a metà tra le famiglie Schiavone e Iovine. Ma gli uomini di Iovine, che nella spartizione geografica delle aree di interesse delle varie anime del clan dei Casalesi “controllano” Villa di Briano, lasciano passare molto tempo. I coloni, preoccupati, fanno pressioni perché hanno già fatto rinuncia davanti a un notaio “che era una delle condizioni per poter presentare una proposta di acquisto”.

Schiavone jr quindi chiede e ottiene un incontro con uno degli uomini di Iovine, Benito Lanza. “Mi confermò, cosa che già avevo saputo, che avevano presentato un’offerta di € 1,50 al mq del tutto incongrua anche rispetto alle indicazioni che avevo ricevuto dall’ingegnere”. “In realtà – prosegue il collaboratore di giustizia – Lanza si lamentava anche del fatto che comunque Antonio Iovine non gli aveva mandato i soldi per concretizzare l’acquisto. Eravamo arrivati già a fine 2008 inizio 2009 periodo in cui, dopo l’omicidio Salzillo ed il triplice omicidio Minutolo, Papa e Buonanno, mi resi irreperibile”. Un triplice omicidio deciso proprio da Iovine, che coincide con l’inizio della latitanza di Schiavone, allertato da fiancheggiatori. “Era un periodo di particolari frizioni col gruppo Zagaria e questa vicenda passò in secondo piano per cui non ho saputo più nulla”.

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