Da mesi fior fior di professionisti non sono riusciti ad arrivare ad un verdetto unanime sulla querelle che ruota attorno alla società in house che gestisce i rifiuti, al centro dei colloqui finiti in procura tra l'ex amministratore delegato e la sindaca. Le possibili risposte alle domande che hanno creato il "caso": al centro il 'contrasto' tra le norme del Testo unico degli enti locali e le sentenze della Cassazione
Qual è il confine fra il cosiddetto “controllo analogo” e un possibile “abuso d’ufficio”? Può un sindaco imporsi sul presidente di una municipalizzata al punto da “dettare” la redazione del bilancio? È un suo diritto o ci sono limiti da rispettare? Virginia Raggi stava chiedendo a Lorenzo Bagnacani di intraprendere degli atti “illegittimi”? È vero che il presidente di Ama avrebbe perso il premio di produzione in caso di bilancio in perdita? Sono tutte questioni molto tecniche, ma indispensabili se si vuole comprendere appieno il “caso” Ama-Raggi e la portata degli audio pubblicati dall’Espresso e consegnati alla procura di Roma. Salvo dire che sul quesito dei quesiti, il classico “chi ha ragione?”, da mesi fior fior di professionisti non sono riusciti ad arrivare ad un verdetto unanime. E questo è un altro dato da tenere in considerazione.
I SERVIZI CIMITERIALI
È necessario innanzitutto inquadrare l’oggetto del contendere. Ama Spa, la società in house che gestisce il ciclo dei rifiuti per il Comune di Roma, si occupa anche dei cimiteri. L’intero contenzioso ammonta a 60 milioni di euro e riguarda i ricavi per le concessioni dei loculi cimiteriali dal 2006 al 2014. In questo periodo, Ama avrebbe realizzato ex novo circa 30mila tombe e “vendute” oltre 80mila, incassando almeno 160 milioni di euro, a fronte di un investimento di 30 milioni l’anno (15 milioni finanziati dal Comune). Un parere legale esterno del 7 settembre 2018, firmato dall’avvocato Mario Bussoletti, spiega che Roma Capitale avrebbe “integralmente venduto manufatti cimiteriali trattenendone il relativo corrispettivo” per 42 milioni di euro, mentre altri 18 milioni sarebbero relativi ai “maggiori costi sostenuti da Ama rispetto al valore base statuito dall’articolo 10” della Convenzione. Il parere indica come “certi, liquidi ed esigibili” i crediti vantati dalla società, dando dunque ragione a Bagnacani. Eppure, all’articolo 10 del contratto di servizio del 2007 si legge che Ama era “delegata ad introitare per intero” i proventi che “hanno evidenza nel bilancio”, circostanza evidenziata da una relazione capitolina del 5 luglio 2012, con la quale il Comune chiedeva che gli venisse versato il 40% degli introiti incassati dalle aste dei manufatti.
COS’È IL CONTROLLO ANALOGO
Per capire se la frase di Virginia Raggi “devi cambiare il bilancio anche se ti dicono che la luna è piatta”, iniziamo col descrivere lo strumento del cosiddetto “controllo analogo”, che permette a un ente di mettere bocca nella gestione delle proprie società. Dice il Tuel (Testo Unico Enti Locali, decreto legislativo 267/2000) all’articolo 113, comma 4: “[…] gli enti locali, anche in forma associata, si avvalgono di soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, […] a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”. E lo fa, recita il decreto legislativo 50/2016, articolo 5 comma 2 “qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata”. Tradotto: l’ente locale (il Comune, in questo caso) deve “controllare” anche con “influenza determinante” la società come se si trattasse di un proprio ufficio.
SOCIETÀ PUBBLICA, MA DI DIRITTO PRIVATO?
Sta di fatto che negli anni, molti amministratori di società si sono appellati alla Cassazione per allargare i contorni della propria autonomia. E spesso la Suprema Corte ha dato loro ragione. Un’azienda pubblica come Ama, dal bilancio che vale quasi un miliardo, può essere considerata “di diritto privato”? Non basterebbe una tesi di laurea in giurisprudenza. Spesso, però, lo stesso istituto a Sezioni Unite ha spiegato che “la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché” un ente pubblico (Stato o enti locali) “ne possegga, in tutto o in parte, le azioni”, tutto ciò “in quanto il rapporto […] è di assoluta autonomia, non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società” (Cass., SS.UU., n. 2505/2015; nn. 1237/2015; 17287/2006; 7799/2005). L’ultima sentenza utile, la 24591 del 1 dicembre 2016, afferma: “Il rapporto tra la società e l’ente locale è di assoluta autonomia, sicché non è consentito al Comune incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali”.
RAGGI E “IL MARCHESE DEL GRILLO”
La materia è complessa, ma è imprescindibile per farsi un’idea dell’azione di Virginia Raggi. In sintesi, le leggi dello Stato darebbero ragione alla sindaca, le sentenze della Cassazione ai vertici di Ama. Il punto è un altro. Le “ingerenze” apparentemente legittime della prima cittadina si scontrano con la posizione di interessato. In parole povere: il Comune stava facendo valere la propria posizione dominante di Socio Unico per vedersi stralciare dei debiti fino a quel momento “certi, liquidi ed esigibili”. Banalizzando, l’esempio perfetto lo ha fatto Lorenzo Bagnacani, durante una seduta della Commissione regionale rifiuti, citando (a verbale) la celebre scena del film ‘Il Marchese del Grillo’, in cui il nobile protagonista congeda l’ebanista Aronne Piperno: “Voi sape’ com’è la procedura? Io i sordi nun li caccio e tu nun li becchi”. Recita l’articolo 323 codice penale: “L’abuso d’ufficio si verifica quando un Pubblico Ufficiale o un incaricato di pubblico servizio (ad esempio l’impiegato della Pubblica Amministrazione), approfittando della posizione rivestita, procura volontariamente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale oppure arreca ad altri un danno ingiusto”. Va detto che Raggi non risulta indagata e il motivo sta nel termine “volontariamente”: a supporto della sindaca, infatti, ci sono pagine e pagine di due diligence preparate dagli uffici, fascicoli ampi tanto quanto quelli che le darebbero torto. Insomma, la prima cittadina, fino a prova contraria (che per ora non c’è, se non “illazioni” su un possibile disegno) era convinta di essere nel giusto e la sua azione non sembra essere stata dolosa.
LA VICENDA DEI PREMI DI BAGNACANI
Attenzione però, perché in queste ore il M5s in Comune sta contrattaccando l’ex presidente di Ama. La stessa Virginia Raggi da settimane allude al fatto che se il bilancio fosse finito in attivo (e non in pareggio) i membri del cda avrebbero incassato un notevole premio di risultato. Bagnacani, durante la stessa audizione in Regione, ha già smentito categoricamente: “La mia remunerazione variabile non era legata al bilancio in utile o in perdita ma all’Ebitda, cioè la prima linea del conto economico che riporta i ricavi meno i costi”, dove l’Ebitda è il margine operativo lordo, uno dei tanti indicatori economici di una società. In realtà, andando a leggere la sezione “amministrazione trasparente” di Ama, si leggeva che Bagnacani aveva diritto a un compenso fisso di 119.247,90 euro l’anno (di cui euro 79.008,70 per la carica di Presidente del Cda e euro 40.239,20 per la carica di Ad), oltre a un’indennità di risultato “nei limiti del doppio del compenso fisso riconosciuto per la carica di Amministratore Delegato” (quindi altri 80mila euro circa), tuttavia “da corrispondersi in proporzione al raggiungimento degli obiettivi prefissati e solo qualora la Società consegua utili nell’esercizio di riferimento”. Da qui si evince come non sia automatico che, in caso di utile, a Bagnacani sarebbe arrivato un premio, ma di certo la perdita ne avrebbe precluso qualsiasi possibilità. “Non consento a nessuno di dire che io abbia agito così per mio interesse personale”, ha ribadito più volte l’ex presidente. I premi per i dirigenti, in ogni caso, sono bloccati dal 2013, mentre i dipendenti per l’anno 2017 in vista del pareggio di bilancio hanno già percepito 300 euro a testa.
LA RESPONSABILITÀ? SE LA PRENDE IL COMUNE
L’ultimo punto da affrontare è quello delle responsabilità. Negli audio si sente Virginia Raggi assicurare a Bagnacani che “ce ne prendiamo noi la responsabilità”. E su questo punto sembrano esserci pochi dubbi. Lo dice anche l’articolo 2497 del codice civile. D’altronde, la stessa Giunta capitolina, nella delibera 21/2019, bocciava per la seconda volta la bozza di bilancio presentata da Ama affermando che andava riscritto “secondo le indicazioni del collegio sindacale”, guidato da Mauro Lonardo, che a novembre aveva cambiato il proprio parere sul bilancio mettendo insieme ben 71 pagine di critica al documento finanziario redatto da Bagnacani.