Economia & Lobby

Usa, nella corsa alle Presidenziali c’è un’altissima posta in gioco. Ma la Casa Bianca c’entra poco

Manca ancora circa un anno e mezzo alla data del 3 novembre 2020, quando gli elettori americani decideranno se Donald Trump resterà per un secondo quadriennio al vertice della superpotenza americana oppure lo rimanderanno a casa, a occuparsi dei suoi diretti interessi (per i quali ha certamente maggiore attitudine). Eppure, nonostante la distanza temporale, la “battaglia politica” per la nomination nelle primarie è già arrivata alla bagarre, quasi fosse una competizione sportiva.

Tra i democratici che arringano con successo un popolo sempre più ampio in cerca di riscossa c’è Elizabeth Warren, pupilla di Barack Obama, che ha grandi obiettivi politici e grande esperienza da usare per rompere il sostanziale monopolio costruito dalle grandi imprese “tech”, grazie al quale hanno costruito nel mondo paradisi fiscali e normativi di sostanziale elusione fiscale. La Warren è sostenuta in questo suo sforzo da un grande economista: Kenneth Rogoff. Ma ci sono diversi altri candidati democratici di peso già schierati nella battaglia. I repubblicani (conservatori) giocheranno invece probabilmente la carta fissa del presidente uscente.

La maggiore attenzione tuttavia è rivolta a un terzo elemento, capace di cambiare profondamente la sostanza dell’intera partita e che ha già cominciato a far sentire il suo peso. Un peso così importante da scomodare, per dare la propria opinione (contraria), persino molti tra i più quotati economisti americani. Tra di loro molti titolati professori universitari, due premi Nobel (Paul Krugman e Joseph Stiglitz), due ex presidenti della Federal reserve (Ben Bernanke e Janet Yellen) e un responsabile del Tesoro Usa (Lawrence Summers).

Questo terzo elemento è la Modern Monetary Theory (Mmt, di cui ho già accennato in un recente articolo), che a dispetto del nome è in realtà già vecchia di quasi un secolo, discendente addirittura dalle politiche keynesiane (vedasi qui sotto la tabella della genesi delle teorie macro-economiche), ma che di tanto in tanto viene rivisitata per la sua affascinante teoria dell’irrilevanza del debito pubblico statale (nei casi citati). Teoria che – dicono i suoi sostenitori – se fosse stata applicata negli anni della “Grande Recessione” iniziata nel 2008 avrebbe evitato le gravi conseguenze della crisi stessa (ma non in Europa, come vedremo tra poco).

La teoria, elaborata già nel 1943 da Abba Lerner, ebbe un momento di grande attenzione e discussione, come spiega in perfetta sintesi Paul Krugman nel suo recentissimo What’s wrong with “functional finance?” (Cosa c’e’ di sbagliato nella “finanza funzionale”?), precisando però già nel sottotitolo dell’articolo che “la dottrina dietro la Mmt fu ben concepita, ma non completamente giusta”.

Il rivoluzionario elemento in discussione (sia nel Mmt che nella functional finance doctrine) dice nella sostanza che “un Paese che abbia il pieno potere di controllo ed emissione della propria moneta e che non si indebita in valuta differente, non deve sentirsi limitato da nessuna costrizione, perché può sempre stampare moneta in quantità necessaria a coprire il debito. Tenendo semplicemente sotto controllo l’inflazione, a evitare che l’eccesso dello stimolo creato possa generare iperinflazione”. Non è difficile capire però che, anche se teoricamente possibile sul piano funzionale, la dottrina del debito che viene pagato semplicemente stampando nuova moneta lascia aperte molte possibilità di errore in chi è alla guida dell’economia. Rischi che aumentano se politici poco rigorosi ne assumono il controllo.

Quest’interpretazione, essenzialmente semplificata (che esclude comunque tutta l’Europa, finché opera con questo euro tenuto al livello del “semilavorato”), è data dallo stesso Krugman nell’articolo citato in precedenza – anche se lui era già contrario fin dal 2011 a questa dottrina – ma è proprio ciò che esalta maggiormente non solo i candidati alla poltrona presidenziale americana, ma anche (un po’ in tutto il mondo) una massa enorme di elettori colpiti duramente dalla continua crisi, che ha spianato non solo le condizioni economiche di molti ma anche la loro speranza di miglioramento. Infatti il pericolo di un Paese che rischia la catastrofe finanziaria non può far paura a chi nella catastrofe della sua vita da sfruttato e da emarginato è già costretto a vivere.

Non ci si deve sorprendere quindi se le promesse dei “socialisti” – Bernie Sanders in testa ma con molti altri al seguito, inclusa la giovanissima Alexandria Ocasio-Cortez, più battagliera che mai e fiera sostenitrice proprio del Mmt – vedono in questa dottrina quella speranza che la tradizionale ideologia liberista ha ormai completamente smarrito.