Il sostituto procuratore della Direzione nazionale Antimafia intervistato da Repubblica: "I mafiosi capiscono subito su chi poter fare affidamento. È necessaria una svolta della politica: non si possono aspettare le sentenze della magistratura, bisogna avere la capacità di intervenire prima, recidendo qualsiasi legame"
“I mafiosi capiscono subito su chi poter fare affidamento. La difesa a oltranza di un indagato per contestazioni di un certo peso potrebbe essere, in questo come in altri casi, un segnale che i poteri criminali apprezzano”. Parola di Nino Di Matteo, sostituto procuratore della Direzione nazionale Antimafia, che intervistato da Repubblica ha parlato dell’attualità, dal caso del sottosegretario leghista Armando Siri indagato per corruzione fino ai provvedimenti approvati dal governo gialloverde. La questione dell’esponente del Carroccio difeso a spada tratta dal suo partito per Di Matteo segna la differenza tra le due forze di governo sui temi della criminalità organizzata: “Da sempre, il potere mafioso ha una grande capacità di cogliere i segnali che arrivano dalla politica e dalle istituzioni – ha detto il pm antimafia – In questi giorni, sta registrando sensibilità diverse nelle due forze di governo, i Cinque Stelle e la Lega. I primi chiedono le dimissioni del sottosegretario indagato per corruzione in una più ampia vicenda che porta a Trapani, gli altri lo difendono”. Da questa disparità di vedute nasce il potenziale segnale che i clan potrebbero cogliere.
Sulla vicenda Siri, tuttavia, Di Matteo ha preferito non entrare nel merito: “C’è un’indagine in corso” ha detto, aggiungendo però come “il reato per cui il sottosegretario è stato già condannato, quello di bancarotta, è oggettivamente rilevante“. “Mi chiedo come sia stato possibile che tale dato non sia stato preso in considerazione al momento della nomina” ha sottolineato Di Matteo, secondo cui “la politica dovrebbe avere un atteggiamento rigoroso al momento della formazione delle liste e degli uffici pubblici. Invece, troppo spesso non è così”. Il procuratore aggiunto della Dda ha fatto poi un appello alle forze politiche a non tenere fuori la lotta a mafia e corruzione dalla campagna elettorale. In tal senso, ha spiegato di aver letto positivamente alcuni provvedimenti dell’esecutivo Lega-M5s, dalla ‘spazzacorrotti’ alla modifica del voto di scambio, ma non basta: “Ancora altri se ne potrebbero attendere – ha spiegato – Ed è necessaria una svolta della politica: non si possono aspettare le sentenze della magistratura, bisogna avere la capacità di intervenire prima, recidendo qualsiasi legame. Invece, in campagna elettorale, tutte le forze politiche hanno taciuto sul tema della mafia e dei rapporti col potere”. “Non si comprende – è stata la conclusione di Di Matteo – che la mafia continua a essere questione nazionale di grandissimo rilievo che inquina non solo l’economia, la finanza, ma compromette il corretto funzionamento delle istituzioni e la libertà di tanti cittadini. La lotta all’intreccio fra mafia e corruzione dovrebbe essere ai primi posti nell’agenda di qualsiasi istituzione anche governativa”.