Il dirigente della società Enrico Trovato era il direttore dello stabilimento all'epoca della fuoriuscita di greggio, nel febbraio 2017: è ai domiciliari. La fuoriuscita, secondo la procura, contaminò il "reticolo idrografico" della Val d'Agri. Sotto inchiesta anche componenti del Ctr: "Consapevole inerzia". L'ipotesi di reato è disastro ambientale. Il procuratore: "Dobbiamo ringraziare Gianluca Griffa". È l'ex responsabile dell'impianto, impiccatosi in un bosco del Piemonte nel 2013
Un dirigente dell’Eni, Enrico Trovato, all’epoca dei fatti responsabile del Centro oli di Viggiano, è finito agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta su una fuoriuscita di petrolio tra il 2016 e il 2017 contaminò il “reticolo idrografico” della Val d’Agri, finendo su 26mila metri quadrati di suolo e sottosuolo a Viggiano, in provincia di Potenza. Nell’inchiesta insieme a Trovato, ex responsabile del Distretto meridionale di Eni e ora in servizio all’estero, sono indagate 13 persone tra le quali anche componenti del comitato tecnico regionale della Basilicata – il cui compito era controllare l’attività estrattiva – e la stessa società petrolifera. Nel provvedimento, il gip di Potenza Ida Iura parla di “precisa strategia condivisa dai vertici di Milano” per “nascondere i gravi problemi”, definendo la condotta di “sconcertante malafede e spregiudicatezza”.
Dopo le perdite Eni aveva ammesso uno sversamento di 400 tonnellate di greggio anche tra agosto e novembre 2016. A metà aprile 2017 poi la Regione Basilicata ha deciso di chiudere il Cova per il mancato rispetto di alcune prescrizioni ambientali. Dopo tre mesi, il 18 luglio, lo stabilimento era tornato a funzionare. Il procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, nel corso della conferenza stampa ha detto: “Dobbiamo ringraziare una persona che non c’è più: Gianluca Griffa”. Si tratta del responsabile dell’impianto che venne trovato impiccato in un bosco in Piemonte nel 2013. Nel novembre del 2017, saltò fuori una lettera scritta da Griffa ai pm poco prima del suo decesso: “Eni sapeva degli sversamenti dal 2012”, scrisse ai magistrati.
La procura di Potenza ipotizza i reati di disastro, disastro ambientale, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale. All’inizio del 2017, dopo il ritrovamento di petrolio in un depuratore, si arrivò al sequestro di un pozzetto. Si accertò che il petrolio era passato nella rete fognaria e poi nella rete idrografica circostante, a due chilometri dalla diga del Pertusillo, che fornisce acqua alla Puglia e, per l’irrigazione, ad oltre 35mila ettari di terreno.
Il petrolio era fuoriuscito dai serbatoi di stoccaggio, ma le perdite non erano “mai state comunicate agli organismi competenti”. Successivamente, l’Eni decise di dotare i serbatoi di doppifondi. Secondo i magistrati, l’Eni tenne un atteggiamento di “sostanziale inerzia” nella vicenda delle perdite di petrolio, mentre quella del comitato tecnico regionale – organo di vigilanza sugli impianti a rischio di incidente rilevante – fu una “consapevole inerzia” perché prima prescrisse maggiori controlli ma poi non sanzionò la loro mancata attuazione.