Per la giudice del Tribunale di Potenza, la condotta è stata caratterizzata da "sconcertante malafede e spregiudicatezza". L’inchiesta, condotta dai pm Laura Triassi e Veronica Calcagno, ipotizza la contaminazione del "reticolo idrografico" della Val d’Agri. Il procuratore: "Perdite dal 2009, molto superiori a quelle stimate dalla società. Se non ce ne fossimo accorti, conseguenze molto più gravi"
C’era una “precisa strategia” per il centro oli dell’Eni di Viggiano, in provincia di Potenza, che veniva attuata a livello locale, “ma certamente condivisa dai vertici di Milano” volta a “nascondere i gravi problemi e le conseguenze che la corrosione aveva provocato, con condotte caratterizzate da una sconcertante malafede e spregiudicatezza”. Sono le dure parole usate dal gip di Potenza, Ida Iura, nell’ordinanza che ha portato agli arresti domiciliari l’ex responsabile del Distretto meridionale dell’Eni, Enrico Trovato (oggi in servizio all’estero per la compagnia petrolifera), nell’ambito di un’inchiesta della procura con 13 indagati, oltre all’Eni stessa, per i reati di disastro, disastro ambientale, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale.
L’inchiesta è stata condotta dai pm Laura Triassi e Veronica Calcagno, e dai carabinieri del Noe, in riferimento alla fuoriuscita di petrolio che nel febbraio 2017 contaminò il “reticolo idrografico” della Val d’Agri, partita da almeno uno dei serbatoi del Centro Oli, a causa della corrosione che lo ha danneggiato. Alla scoperta della fuoriuscita di greggio, ritrovato in un sistema fognario nei pressi del Cova, l’Eni realizzò un doppio fondo nel serbatoio, dichiarando la perdita di circa 400 tonnellate di petrolio ma, secondo il procuratore di Potenza, Francesco Curcio, “riteniamo che i serbatoi danneggiati fossero quattro, con perdite dal 2009, quindi molto superiori a quelle stimate”.
Perdite che, per i pm, avrebbero portato a “una grave compromissione delle matrici ambientali, in particolare per l’acqua”. Se non si fosse casualmente scoperta la perdita “grazie a un sistema fognario malfunzionante – ha aggiunto Curcio – la velocità di corrosione e della fuoriuscita avrebbero portato a conseguenze molto più gravi, ma per fortuna scongiurate, data la vicinanza della diga del Pertusillo” che serve l’acqua all’Acquedotto Pugliese. In una nota, Eni parla di “massima collaborazione” con gli organi inquirenti e “fiducia nell’operato della magistratura”. La società “ritiene di essere intervenuta tempestivamente e di aver posto in essere tutti i migliori interventi di messa in sicurezza di emergenza con l’obiettivo di contenere, perimetrare e rimuovere la contaminazione”.