Secondo l’ultimo report della Community cashless society del think tank italiano The European House – Ambrosetti, l’Italia è il sestultimo Stato membro per pagamenti cashless. Basta guardare alle transazioni pro-capite: in media ne facciamo 46,2 con il bancomat, mentre la media europea è di 135. Negli ultimi anni sono aumentate anche le banconote in circolazione in rapporto al Pil: nel 2018 sono arrivate a 205 miliardi di euro, in aumento dai 197 miliardi dell’anno prima e pari all’11,8% del prodotto interno lordo contro una media Ue dell’11%. E accanto a chi usa i contanti perché è legato a vecchie abitudini c’è ovviamente chi li utilizza per pagare in nero i propri dipendenti, per acquistare beni di lusso dribblando la tracciabilità o chi ne approfitta per incassarli senza rilasciare ricevuta. Prassi che fanno lievitare il tasso di evasione delle tasse (tra cui Iva e Irpef) a livelli tra i più alti d’Europa. Secondo The European House – Ambrosetti, puntare sui pagamenti elettronici permetterebbe di recuperare entro il 2025 “tra gli 11,3 e i 63,5 miliardi di euro di economia sommersa e tra i 6 e i 28 miliardi di euro di Vat gap” (cioè la differenza tra quanto lo Stato prevede di incassare con l’Iva e quanto incassa realmente). Per arrivare a questi risultati, fra le ipotesi proposte ci sono “l’attuazione di un regime sanzionatorio per esercenti e professionisti che non accettano i pagamenti con Pos”, un meccanismo cashless di riscossione degli assegni sociali e delle pensioni e il ritorno della soglia massima del contante a mille euro (attualmente fissata a 3mila dal governo Renzi).

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