Aveva denunciato tutto in alcuni memoriali, uno dei quali si apriva con la frase “In caso capiti o mi capiti qualcosa”. L’ultimo aggiornamento ai suoi dossier, Gianluca Griffa, ex responsabile della produzione del Centro Oli dell’Eni a Viggiano, in Val d’Agri, lo aveva fatto il 7 luglio 2013. Un mese dopo venne trovato morto in un bosco al confine tra le province di Cuneo e Torino, alcuni giorni dopo la sua scomparsa. Un suicidio sul quale da più parti è ancora oggi chiesta “chiarezza”. Raccontava buona parte di quanto ora la procura di Potenza, guidata da Francesco Curcio, ha ricostruito nell’inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari Enrico Trovato, manager del Cane a sei zampe ed ex responsabile del Dipartimento meridionale, e vede indagate altre 13 persone. Tanto che il gip si spinge a dire che se le sue precauzioni fossero state ascoltate “avrebbero scongiurato il disastro ambientale scoperto quattro anni dopo”.
Perché, secondo i carabinieri del Noe, le perdite di greggio scoperte nel febbraio 2017 avrebbero causato l’inquinamento di acque e sottosuolo su circa 26mila metri quadri di territorio. E non fu uno sversamento isolato dai serbatoi a provocare la fuoriuscita del petrolio, quanto una vera e propria “strategia” dell’azienda che ignorò per anni lo “stillicidio” di idrocarburi dispersi da 4 serbatoi. Come denunciato da Griffa, che aveva capito tutto. Ma di fronte alle sue sollecitazioni, arrivate tra il luglio 2011 e almeno la fine del 2012, affinché si ispezionassero le cisterne i manager si “opposero”. Tanto che Griffa “veniva allontanato” dal Centro oli per “essere destinato ad altro incarico”. Eppure ora le sue accuse, le sue preoccupazioni, quel malessere che provava sentendosi isolato, sembrano essere state accertate dalla procura.
L’ingegnere, suicidatosi a 38 anni, viene citato 31 volte nelle 72 pagine di ordinanza di custodia cautelare. Il suo memoriale, scrive il gip Ida Iura, “chiude il cerchio della valutazione probatoria” perché le considerazioni di Griffa “hanno trovato un completo riscontro” nel corso dell’inchiesta. Ma la catena manageriale di Eni lo aveva “volutamente emarginato” dopo che si era “interrogato con coscienza e scrupolo sul problema fortemente sentito della sicurezza dell’impianto, cercando, nonostante ostilità intorno a sé, di trovare soluzioni, suggerendo precauzioni che, se eseguite (siamo nell’anno 2013), avrebbero scongiurato il disastro ambientale scoperto quattro anni dopo”.
L’ex responsabile, scrive il gip, “aveva appuntato che, dei quattro serbatoi di stoccaggio presenti al Centro olio di Viggiano, due avevano mostrato problemi”. Ma “con non celata amarezza” raccontava che “altri avevano deciso (”penso ordini dall’alto”)” di “tappare il tutto” senza indagare, né i problemi “sempre per ordini superiori” erano “stati ufficializzati ed erano, dunque, stati tenuti nascosti, sicchè le relative manutenzioni erano state comunicate ad Unmig (il Dipartimeto del ministero che vigila sulle estrazioni, ndr) come normali lavori”. Di fronte alle sue rimostranze verso i superiori e a causa della sua “condotta prudente”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, Griffa “era stato destinatario del chiaro messaggio di non intromettersi nella gestione dell’impianto e nelle impostazioni della produzione, poiché, con le sue paure sul possibile stato degli altri due serbatoi, “creava ansia in chi si occupava del sistema””. Ed “evidenziava di essere stato chiamato a Milano” il 22 luglio 2013 e che in quell’occasione “avrebbe provato a rifare il punto (…) per indurre il management a seguire i suoi consigli”.
Nel frattempo aveva preso a scrivere i suoi memoriali manifestando “il suo malessere nel percepirsi fuori posto” e per “essere stato collocato una settimana in ferie con il progetto di una missione all’estero per allontanarlo dal luogo e per l’individuazione di un possibile suo sostituto”. Griffa, scrive il gip, “si oppone alla mera logica della produzione, temendo un disastro ambientale” e “viene isolato e allontanato dal Cova”. Non solo, perché l’ingegnere aveva anche espresso “dubbi per la scelta di un sostituto “giovane”, come lo era stato lui all’arrivo in Val d’Agri”. A suo avviso, è un’altra accusa rivolta a Eni, “vengono scelti (…) dei giovani, perché più facilmente controllabili”.