Marta, Charlie e altri macachi sono rinchiusi nelle gabbie di uno stabulario, presso un’importante università italiana. Questi non sono i loro veri nomi, che abbiamo deciso di non divulgare così come non divulgheremo il nome dell’università e di chi ci ha lavorato alcune settimane, con lo scopo di documentare e rendere visibile la loro triste vita.
Questi macachi vivono in piccole gabbie spoglie. Inseriti nel cranio e nelle tempie hanno degli elettrodi, necessari per gli esperimenti di neuroscienze a cui sono sottoposti. Una vita di totali privazioni porta molti di loro a comportamenti stereotipati: si muovono avanti e indietro nella gabbia, leccano compulsivamente le pareti e mordono senza sosta lucchetti e sbarre. Immagini come queste lasciano il segno. Non accade spesso di poter vedere video dall’interno dei laboratori di ricerca. Questa è la prima indagine compiuta “sotto copertura” in Italia, mentre le più recenti in Europa sono di cinque o sei anni fa, che diffondiamo oggi in occasione del 40esimo anniversario della Giornata mondiale per gli animali nei laboratori.
Nel video non si vedono esperimenti particolarmente cruenti, ma l’infinita tristezza in cui vivono questi macachi per lunghi anni di ricerche. Oltre la porta del laboratorio, dove vengono portati per gli esperimenti, bloccati nelle gabbie di contenzione, non sappiamo cosa accada. Ma crediamo che queste immagini siano sufficienti per interrogarci sull’utilizzo di primati e altri animali nelle università e nei centri di ricerca italiani. Il loro sguardo impotente tocca il cuore e non può lasciarci indifferenti. La domanda che questi animali sembrano porci è “davvero non possiamo fare in modo che questo non sia più necessario?”.
Nel nostro Paese sono circa 600 i laboratori autorizzati dal ministero della Salute a compiere esperimenti su animali. Si tratta di centri di ricerca pubblici o privati, situati all’interno di aziende farmaceutiche, università e ospedali. Il dato positivo è che anno dopo anno il numero totale di animali utilizzati per la ricerca scientifica è in graduale diminuzione: oggi sono poco meno di 600mila, mentre soltanto dieci anni fa erano quasi un milione.
Purtroppo in questo contesto è da segnalare invece un aumento del ricorso ai macachi. Nel 2015 erano 224, sono raddoppiati a 454 nel 2016 e arrivati a 548 nel 2017. Questo numero aumenta ulteriormente se si includono i primati riutilizzati in una seconda procedura, con una cifra finale di 586. Evidentemente c’è ancora molta strada da fare per portare a zero il numero di animali utilizzati.
Spesso i cambiamenti in un settore, benché possano derivare da spinte esterne, dipendono fortemente da dinamiche interne. Già ora vi è l’obbligo di ricorrere all’utilizzo di animali solo quando strettamente necessario e se non vi sono alternative. L’implemento di metodi sostitutivi dipende quindi dalla stessa comunità scientifica. Proprio per questo non vogliamo che la nostra indagine venga strumentalizzata per fagocitare uno scontro fra due opposte fazioni, tra chi è pro e chi è contro la sperimentazione su animali. Non vi devono essere due gruppi distinti, ma un solo grande obiettivo: superare l’utilizzo di animali nella ricerca scientifica. A chiederlo, secondo il Rapporto Italia 2016 di Eurispes, è l’80% degli italiani.
Ed è proprio dall’interno del settore che dovrebbero emergere e trovare più spazio menti che studino e mettano a punto metodi sostitutivi, così come maggiori finanziamenti, più dibattiti sui limiti etici nella scienza, riviste scientifiche che diano spazio a questi temi, studenti con il sogno di diventare grandi scienziati e poter risolvere questo dilemma etico della società. Ed è a queste persone, agli addetti ai lavori, che è diretto lo sguardo impotente dei piccoli macachi del video. Fate il possibile affinché queste immagini siano in breve tempo solo un triste ricordo!