Il Portogallo il 25 aprile festeggia 45 anni di liberazione dalla dittatura fascista di Antonio Salazar e i socialisti al governo, insieme agli alleati che li sostengono (Bloco de Esquerda e Partito comunista portoghese), non mancheranno l’occasione per sottolineare i progressi economici ottenuti dal 2015 a oggi. Stando alle ultime statistiche, avrebbero di che vantarsi: la riduzione del deficit pubblico e la crescita dell’1,7% del Pil nel 2018, prevedendone una stima del 2% nel 2019.
I giornali di tutto il mondo esultano per la “fine dell’austerità in Portogallo”, sottolineando come l’attuale geringonça* (accozzaglia) al potere abbia saputo liberarsi dalle grinfie della Troika (attuando però i suoi diktat) e, contemporaneamente, apportare miglioramenti tangibili nella vita dei portoghesi. Due sono in particolare gli interventi governativi considerati migliorativi della condizione economica dei lavoratori: l’aumento del salario minimo e l’abbassamento dell’età pensionabile per i dipendenti pubblici. Vediamoli in dettaglio, anche per valutarne la reale portata.
Nel 2015, quando il governo di Antonio Costa [in foto] andò al potere, il salario minimo era pari a 505 euro mensili. Da allora, il governo è intervenuto con decreti annuali anche per adeguarlo all’andamento dell’inflazione: 530 euro nel 2016, 557 nel 2017, 580 nel 2018 e ora 600 euro. Si calcola che il numero dei lavoratori portoghesi che ricevono il salario minimo sia superiore a 750mila. Cifra considerevole, in un Paese in cui i lavoratori dipendenti sono poco più di 4 milioni. I dati, dunque, ci dicono che circa un quarto dei lavoratori portoghesi riceve uno stipendio di soli 600 euro al mese. E c’è chi grida “Urrah!”.
Quanto all’abbassamento (di pochi mesi) dell’età pensionistica per i soli dipendenti pubblici, occorre segnalare che, da più parti (fonti governative comprese), si inizia a parlare della necessità di una “nuova riforma” delle pensioni, la quale, stando alle richieste del Fmi, dovrà apportare tagli consistenti. Il tutto, ovviamente, nel nome dell’uguaglianza sociale. Al ribasso.
I sondaggi rilevano un ampio consenso per il governo socialista, eppure il dato appare in contrasto con il costante aumento del numero degli scioperi negli ultimi due anni. Insegnanti, guardie carcerarie, infermieri e negli ultimi giorni anche camionisti (di cisterne di petrolio e gas) sono scesi più volte in strada e hanno bloccato il Paese per chiedere il miglioramento delle condizioni salariali e di lavoro. Per contrastare lo sciopero dei camionisti, il governo Costa è giunto perfino a utilizzare i soldati dell’esercito come autisti di camion. Non proprio il quadro di un Paese pacificato e prospero, come si vorrebbe far credere.
In questa prospettiva, un dato da considerare è anche la crescita dei movimenti di estrema destra: una assoluta novità nella storia democratica del Paese. Dopo la liberazione del 25 aprile 1974, la società portoghese aveva, in qualche modo, costruito degli anticorpi interni per evitare la nascita e la proliferazione di movimenti fascisti. La memoria della loro violenza al governo era ancora viva.
L’esplosione della crisi economica e le misure di austerità adottate dai vari governi hanno abbassato il livello di allerta nel tessuto sociale e consentito la nascita di gruppi di estrema destra, esplicitamente fascisti (del terzo millennio, naturalmente), anti-musulmani, razzisti e identitaristi. Nulla di originale, va detto: in questa direzione il Portogallo sembra muoversi per emulazione o per spinte esterne. Sarebbe sufficiente notare i loro nomi – Portugueses Primeiro (Prima i portoghesi) e Escudo Identitário (Scudo identitario) – per accorgersi della somiglianza tra questi e altri gruppi simili sparsi in Europa e altrove. A queste nuove formazioni bisogna aggiungere quelle più datate (a partire dagli inizi del 2000), come, per esempio, Partido Nacional Renovador e Nova Ordem Social. L’ultimo partito di estrema destra, che è stato registrato da pochi mesi nell’albo del Tribunal Constitucional, si chiama Chega! (Arriva!) e da molti è stato definito come il primo partito populista portoghese.
La breve storia di queste formazioni politiche non è una storia di unità e di rapporti non conflittuali. Le elezioni europee, però, stanno modificando il quadro, spingendo molte di loro a presentarsi unite alle elezioni. Anche in Portogallo, così come altrove, il collante tra tutti questi gruppi è rappresentato dall’odio verso gli immigrati e i rom, oltre che da una certa interscambiabilità dei militanti: chi fa parte di Portugueses Primeiro, per esempio, può risultare iscritto anche al Partido Nacional Renovador o al gruppo Escudo Identitário. Il che aumenta un certo comune cameratismo e spirito unitario.
Quello che accadrà alle Elezioni europee si capirà a breve. Verificare però, a 45 anni dalla cacciata dei fascisti (salazariani) al governo, che altri fascisti (del terzo millennio) stanno conquistando un’agibilità politica e sociale nel Paese getta una luce sinistra su questa giornata di festa per la liberazione dal fascismo.
* Questo fu, sin dall’inizio, l’aggettivo utilizzato dai giornali portoghesi per definire l’alleanza politica tra il partito socialista al governo e gli altri due partiti di sinistra che lo sostengono.