La base dell’associazione a delinquere scoperta una decina di giorni fa dai carabinieri era Reggio Emilia, dove i carabinieri della Forestale hanno sequestrato 108 cuccioli di razza e dove sono scattate le misure restrittive per tre dei quattordici indagati dalla procura reggiana. L’accusa è di traffico illecito di animali da compagnia, maltrattamento, frode in commercio, falsità in atti e truffa
Commerciavano cuccioli di cani, prelevati in paesi dell’Est e rivenduti in Italia con alti profitti. Animali maltrattati, chiusi in scatoloni e costretti alla violenza di lunghi viaggi nei bauli delle auto per sfuggire ai controlli. Rivenduti con libretti sanitari falsi e microchip rubati. Lo facevano da tempo, come da tempo sui facili guadagni del traffico di cuccioli aveva messo le mani la cosca di ‘ndrangheta condannata nel processo Aemilia. La base dell’associazione a delinquere scoperta una decina di giorni fa dai carabinieri era Reggio Emilia, dove gli uomini della Forestali hanno sequestrato 108 cuccioli di razza e dove sono scattate le misure restrittive per tre dei quattordici indagati dalla procura reggiana. L’accusa è di traffico illecito di animali da compagnia, maltrattamento, frode in commercio, falsità in atti e truffa.
Il nome dell’operazione è “Crudelia” ma per molti di questi cuccioli, malati e debilitati dalle privazioni del viaggio, la storia non è stata a lieto fine come nella Carica dei 101. Le denunce raccolte dai carabinieri parlano di animali sofferenti o che morivano dopo pochi giorni e svelano un business illecito dalle dimensioni ancora non definite. Il sostituto procuratore Valentina Salvi ha disposto il divieto di espatrio per marito e moglie considerati ai vertici dell’associazione: lei originaria di Praga nella Repubblica Ceca, lui campano di nascita, entrambi residenti a Reggio assieme al padre della donna che si è reso irreperibile. Gli altri 11 indagati risiedono a Napoli, Grosseto, Bergamo, La Spezia, Monza, Piacenza e Ravenna. C’è anche una donna cilena che vive a Reggio Emilia.
L’operazione dei giorni scorsi è l’ultimo atto di una azione di contrasto al traffico illecito di animali che già nel 2017 e 2018 aveva portato a denunce nei confronti dei tre, sorpresi durante controlli stradali a trasportare cuccioli stipati senza cibo né acqua nei bauli. Durante quei controlli erano stati trovati e sequestrati altri 129 cani di varie razze pregiate.
Il volume d’affari stimato è di circa 500mila euro ma potrebbe trattarsi della punta di un iceberg ben più redditizio. I guadagni sono alti, in quanto si stima che gli animali vengano venduti ad un prezzo anche cinque volte superiore a quello d’acquisto, e nel ricco mercato del traffico di animali da compagnia si erano infilati proprio da Reggio Emilia anche personaggi eccellenti della cosca di ‘ndrangheta insediata nel territorio.
Racconta negli interrogatori di Aemilia il collaboratore di giustizia Antonio Valerio che Lauro Alleluia, condannato in primo grado a nove anni per estorsione aggravata e considerato uomo al servizio del capo Michele Bolognino, gestiva traffici di animali con diversi paesi dell’Est. Alleluia è campano di origine e i suoi fratelli, secondo Valerio, gestivano un negozio di animali ad Afragola, in provincia di Napoli. I cuccioli importati illecitamente dall’Est (Ungheria, Polonia, Slovacchia) e poi rivenduti in quel negozio che “penso proprio appartenga alla camorra”, dice Valerio, avevano bisogno di una base logistica a Reggio Emilia prima di arrivare in Campania, perché gli animali facevano troppi chilometri e rischiavano di morire. La base la cercò Lauro Alleluia, detto Sazzizzo, coinvolgendo anche la famiglia Brugnano (due i condannati in Aemilia: Giuseppe e Luigi, rispettivamente a 5 e 10 anni) per trovare un capannone adatto. Serviva un appoggio per “cani e cardellini”, dice Valerio ai procuratori Ronchi e Mescolini, “perché lì (nei bauli delle auto) impazziscono, e allora serviva questo appoggio per fare tipo la metà della strada”.
Ma anche i fratelli Muto, in particolare Salvatore (a sua volta collaboratore di giustizia nel processo Aemilia), secondo Valerio erano abili nel fare soldi con gli animali. La loro specialità era intercettare fondi e sovvenzioni della Comunità Europea destinati agli allevamenti, e per farlo si servivano delle competenze e dell’amicizia di “funzionari nella Provincia di Catanzaro. Perché chi aveva degli animali, gli davano delle sovvenzioni. Ovini, bovini, pollame: c’era una infinità di… (possibilità). Loro mutuavano dei progetti trovati su… (al Nord): in questo erano i numeri uno”.
Cuccioli maltrattati e finti allevamenti: per la ‘ndrangheta come per la camorra il fine giustifica i mezzi, forse anche le alleanze se troveranno riscontri le dichiarazioni di Valerio. Reggio Emilia è certamente un crocevia importante di questa attività illecita che rimanda a legami con l’Est Europa. Nel gennaio 2018 venne arrestato in città un commerciante di 40 anni, Daniele Giaroli, che doveva scontare oltre quattro anni di carcere come somma di varie condanne. È stato accertato che nel 2009 teneva in un casolare di San Giuliano Milanese oltre 100 cuccioli di razza, provenienti dall’Ungheria, in precario stato di salute. Tre anni dopo era stato bloccato dai Carabinieri sulla statale del Tarvisio: nel bagagliaio aveva ammassati in quattro gabbie 62 cuccioli di varie razze in precarie condizioni di salute. Viveva a Reggio Emilia nel comune di Bibbiano, culla del Parmigiano Reggiano. Ma per fare soldi aveva trovato un modo più rapido, secondo l’accusa, dei 20 mesi necessari a stagionare il re dei formaggi.