“Stamattina ho letto in un giornale che le intercettazioni non esisterebbero. Se così fosse sono sicuro che giudici, magistrati e avvocati faranno bene e in fretta il proprio lavoro”. Parola del vicepremier Matteo Salvini, che ha fatto riferimento al titolo d’apertura del giornale La Verità per dire la sua sugli ultimi sviluppi del caso Siri. Il sottosegretario leghista ai Trasporti è indagato per corruzione dalle procure di Palermo e Roma perché, secondo gli inquirenti, ha ricevuto tangenti dall’ex deputato di Forza Italia Paolo Arata in cambio di interventi legislativi nel settore dell’energia eolica. Ciò che Salvini non dice, però, è che l’esistenza o meno della frase pubblicata dal Corriere della Sera (Arata padre ad Arata figlio: “Questa operazione ci è costata 30mila euro”, sottintendendo la mazzetta in favore di Siri) non sposta di una virgola il succo della questione. Che era e resta la presunta corruzione di un membro del governo (Armando Siri) da parte di un imprenditore (Paolo Arata) legato a un personaggio (Vito Nicastri) accusato di aver coperto la latitanza del super boss di mafia Matteo Messina Denaro. Accusa che, a leggere il capo d’imputazione contenuto nel decreto di perquisizione nei confronti di Siri, è così configurata: “Armando Siri, proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il cosiddetto mini eolico, riceveva indebitamente la promessa e/o la dazione di 30mila euro da parte di Arata”, amministratore di una serie di società operanti nel settore delle energie rinnovabili. Tradotto: al netto del virgolettato fantasma, l’accusa rimane eccome, ed è scritta a chiare lettere nelle uniche carte disponibili dell’inchiesta.

Tirato in ballo dalla Verità che lo accusa di aver pubblicato una bufala, il quotidiano di via Solferino si è difeso nella sua versione online, sottolineando che i magistrati “hanno formulato l’accusa dopo aver ascoltato le intercettazioni delle conversazioni tra Paolo Arata e il figlio Francesco. A destare l’attenzione – ha spiegato il Corriere – è in particolare un colloquio captato in macchina durante il quale l’imprenditore spiega che cosa è stato fatto per cercare di far passare i provvedimenti e parla di un’operazione che è costata 30mila euro, riferendosi a Siri. Il resto lo hanno fatto le verifiche degli investigatori della Dia – ha aggiunto il Corsera – che hanno individuato le proposte di legge presentate da Siri e che invece sono state bloccate sia al Mise, sia in Parlamento. La conferma – è la conclusione del quotidiano – è arrivata dagli interrogatori del capo di gabinetto del ministro per lo Sviluppo Economico Vito Cozzoli, della sua vice Elena Lorenzini, del sottosegretario Davide Crippa che sono stati interrogati dal pubblico ministero e hanno confermato le ‘pressioni’ di Siri”.

Perché il punto vero della questione, sia politico che giudiziario, è stato il comportamento del sottosegretario leghista, che a sentire i pm ha “proposto e concordato con gli organi apicali dei ministeri competenti per materia (Infrastrutture e Trasporti, Sviluppo economico e Ambiente) l’inserimento” di provvedimenti che avrebbero favorito il settore dell’eolico, in cui sono attivi gli Arata e in cui gli investigatori hanno scoperto “un reticolo di società” facenti capo alla famiglia Arata, “ma partecipate occultamente da Nicastri, vero regista delle strategie imprenditoriali e definito dall’ex politico “la persona più brava dell’eolico in Italia“. Secondo questa tesi, quindi, Armando Siri ha proposto leggi che avrebbero favorito Arata e, di conseguenza, Nicastri, ai domiciliari con l’accusa di aver contribuito alla latitanza di Matteo Messina Denaro. Siri, oltretutto, in un primo momento ha dichiarato di non essersi mai occupato di eolico in vita sua, ma dopo due giorni dalla notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati ha ammesso di aver presentato l’emendamento sull’eolico proprio perché spinto da Arata. Insomma: che sia vero o meno il virgolettato dell’intercettazione pubblicato dal Corriere e smentito da La Verità, le accuse nei confronti del sottosegretario Siri restano, al pari della gravità della questione. Da qui la presa di posizione del premier Conte e del Movimento 5 Stelle, con Di Maio che ha sottolineato: “La mafia la elimini se tu dai l’esempio”. Si chiama opportunità politica, quella che il giudice Paolo Borsellino invocava nel 1989, quando disse: “La politica dovrebbe fare pulizia da coloro che sono raggiunti da fatti inquietanti, anche se non sono reati”.

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