Standars and Pooor’s lascia invariato il rating dell’Italia a BBB con outlook negativo. L’agenzia di rating non ha tagliato il giudizio sul nostro debito sovrano, confermando anche una prospettiva negativa, ovvero la possibilità di un declassamento nei prossimi due anni. L’agenzia Usa ribadisce quindi il giudizio espresso lo scorso ottobre, lasciando il nostro Paese due gradini sopra la linea di confine dell’investment grade, sotto cui l’investimento viene giudicato altamente speculativo.
“L’economia italiana rischia di ristagnare quest’anno” e “l’inversione delle riforme e la volatilità della domanda esterna hanno spinto l’economia dell’Italia in recessione“, scrive però Standard and Poor’s, prevedendo per il 2019 che il Pil italiano si espanderà solo dello 0,1% in termini reali, riflettendo anche “un effetto negativo” del calo della seconda metà del 2018. Il reddito di cittadinanza aggiungerà nel 2019 0,2 punti percentali di Pil alla crescita dell’Italia, ma “lo stimolo della domanda da parte del governo sarà di breve durata senza ulteriori riforme strutturali che favoriscano la crescita economica” che in Italia “è in stallo”, mentre ” le nuove politiche potrebbero aumentare la rigidità del mercato del lavoro“, sostengono gli economisti.
Gli economisti dell’agenzia di rating sottolineano che la crescita riprenderà nel 2020, “ma solo intorno allo 0,6%“, mentre nella zona euro l’incremento del Pil sarà più del doppio e pari all’1,4%. “I continui cambiamenti politici indeboliscono il potenziale dell’Italia”, avverte Standard and Poor’s, precisando come sia in corso “un marcato deterioramento delle condizioni finanziarie esterne per il governo italiano e le banche“. Inoltre, “una delle vulnerabilità macroeconomiche dell’Italia, a nostro avviso, è la sua grande economia sommersa non tassata, in particolare nel sud”, afferma S&P.
L’agenzia di rating sottolinea ancora come il debito pubblico sia in rialzo e il debito privato in calo. “I rischi per la posizione fiscale dell’Italia stanno crescendo”, continua la nota. Gli economisti di S&P prevedono per il 2019 un deficit di bilancio del 2,6% del Pil, rispetto all’obiettivo del governo del 2,4%. S&P stima che il debito pubblico dell’Italia aumenterà leggermente nei prossimi anni fino al 132,7% del Pil nel 2022. Infine, si legge, “l’Italia è sulla buona strada per diventare un creditore netto esterno entro la metà del decennio”.
S&P in generale fa sapere che potrebbe rivedere l’outlook a stabile se vedesse una ripresa dell’economia italiana e un’accelerazione della crescita dell’occupazione, portando a un miglioramento delle finanze pubbliche, ulteriori progressi significativi per il settore finanziario italiano, sul fronte della riduzione delle sofferenze. Secondo S&P l’Italia trae inoltre benefici dal sostegno all’euro, anche se c’è scetticismo tra gli elettori, e dal rispetto del Patto di stabilità e crescita Ue.
I parametri di valutazione e gli altri ‘giudizi’
La decisione dell’agenzia americana è stata presa valutando appunto l’andamento di tre indicatori: la crescita dell’economia, l’accoppiata deficit-debito e lo spread rispetto all’andamento dei titoli di Stato tedeschi. A ottobre scorso Standard&Poor’s aveva confermato il rating dell’Italia a BBB. Ma la prospettiva, l’outlook, era stato rivisto al ribasso da stabile a negativo, lasciata invariata anche oggi. La crescita sei mesi fa era attesa nel 2019 all’1,1%, ora le stime oscillano tra -0,2% (Ocse) e +0,2% (governo e Commissione Ue). Il deficit nel precedente appuntamento con il nostro Paese era stimato al 2,7%, non lontano dai dati aggiornati ad oggi, mentre lo spread dagli oltre 300 punti di ottobre è passato ai 260,1 punti base con cui ha chiuso venerdì il differenziale fra Btp e Bund (migliorando del 3,67% sul dato precedente).
L’altra agenzia americana, Fitch, a febbraio ha confermato il giudizio BBB con outlook negativo. A tagliare il rating, invece, era stata Moody’s che a ottobre aveva declassato l’Italia da Baa2 a Baa3 (con l’outlook stabile), cioè a un solo gradino dal rating “junk” che in inglese significa “spazzatura”.
Cosa sono le agenzie di rating
Le agenzie di rating sono istituti che danno la “pagelle” agli enti (aziende, istituzioni ma anche Stati) che emettono strumenti finanziari. L’obiettivo è valutarne la stabilità finanziaria e di conseguenza la possibilità che quello strumento venga ripagato, per permettere così agli investitori (cioè chiunque compera titoli come bond o azioni) di fare scelte ponderate. Dopo essere stato analizzato, il merito di credito viene classificato su una scala standardizzata, divisa in diversi “notch” o gradini.
Le principali agenzie sono le americane Standard&Poor’s, Moody’s, Fitch, la cinese Dagong e la canadese Dbrs (che ha dato all’Italia un “BBB high”, confermando la valutazione con outlook stabile). Le scale di valutazione di solito partono dalla tripla AAA, cioè la massima sicurezza del capitale, e terminano con la D, cioè il default, quando il capitale è perso. In mezzo alla scala c’è una linea di confine, quella dell’investment grade, sotto cui l’investimento viene giudicato altamente speculativo, e dove per policy la maggior parte dei fondi non speculativi non può investire per tutelare i propri investitori. In passato l’affidabilità del giudizio delle agenzie è stata al centro di feroci polemiche in seguito a casi come quello della banca d’affari americana Lehman Brothers che godette del bollino A fino al giorno del suo fallimento, il 15 settembre 2008. Dopo di che per la finanza mondiale e, a cascata, per l’economia cosiddetta reale, è stata l’apocalisse.