I dati della Commissione Ue: tra i camici bianchi Ue che espatriano, il 52% sono italiani. Le richieste arrivano da Regno Unito, Svizzera, Germania, ma anche dai ricchi Paesi Arabi come dalle zone di guerra. Le retribuzioni offerte possono arrivare fino a 20mila euro al mese. La fuga è "un danno anche economico, se si pensa che lo Stato spende almeno 150mila euro per ogni medico laureato"
La fuga dei medici italiani. Tra i camici bianchi europei che lasciano il loro Paese, il 52% è costituito proprio da italiani: più della metà, mentre i tedeschi seguono molti distanti con il 19 per cento. I dati della Commissione Ue raccontano una realtà che è già da tempo sotto gli occhi delle Aziende sanitarie locali. La regione con il maggior numero di medici che espatriano è il Veneto, con 80 professionisti su 1.500 che emigrano ogni anno. Tanto che, come raccontato da ilfattoquotidiano.it, per tappare i buchi in corsia si va a caccia di medici nell’Europa dell’Est. Apripista è stata l’Usl di Treviso, che ha già reclutato dieci camici bianchi dalla Romania. Intanto proprio in questi giorni, raccontano dall’Azienda sanitaria di Padova, gli Emirati Arabi stanno contattando medici italiani e offrono dai 14 ai 20 mila euro al mese, interprete, casa, scuola, e autista.
Le paghe molto più alte sono il primo fattore che induce i medici a lasciare l’Italia. Poi ci sono anche “un accesso alla professione più meritocratico e prospettive di carriera migliori”, spiega Adriano Benazzato, segretario Anaao Assomed del Veneto. Le richieste di camici bianchi italiani arrivano soprattutto da Gran Bretagna, Svizzera, Germania, Francia, Belgio, Olanda. Fuori dall’Europa la caccia parte soprattutto da Arabia Saudita e Qatar, ma anche da zone di conflitto e miseria come Siria, Libia, Iraq, Sudan e Somalia. La ricerca avviene attraverso Linkedin o società di cacciatori di teste straniere specializzate.
A finire nel mirino degli ospedali stranieri non sono solo i giovani freschi di laurea: nel giro di poco tempo all’ospedale di Padova una nefrologa esperta ha avuto un’offerta di lavoro dalla Francia, un altro specialista di 55 anni ha ricevuto un invito in Svizzera. Intanto nell’ultimo anno, 12 anestesisti dell’Ospedale di Verona hanno chiesto il trasferimento per via delle condizioni di lavoro troppo pesanti. “Un danno anche economico per il nostro Paese – commenta sempre Benazzatto – se si pensa che lo Stato spende 150mila euro per ogni singolo medico solo laureato. Se ha fatto la specializzazione, altri 150mila euro“.
Chi rinuncia alle offerte lo fa per motivi personali, non lavorativi. Andrea Rossi, 41 anni, geriatra dell’Azienda ospedaliera universitaria di Verona, racconta all’Ansa: “Mi ha contattato un’agenzia di cacciatori di teste, la Global executive solutions, offrendomi un posto di consulente medico geriatrico di zona al Queen Elizabeth Hospital di Norfolk. Mi hanno trovato su Linkedin, l’offerta era di 150mila sterline l’anno lorde, pari a 170mila euro. In Italia ne guadagniamo 71 mila“. Ha deciso di dire no perché “adesso ho un contratto a tempo indeterminato, faccio anche ricerca e ho tre figli piccoli“.
Ma, conclude Rossi, “se mi avessero trovato prima, quando ero precario e lavoravo con un contratto a gettoni pagato 10 euro lordi all’ora, avrei detto certamente di sì“. È l’altra soluzione low cost con cui le Aziende sanitarie cercano di rimediare ai buchi in corsia, oltre alle assunzioni dall’Est. La Toscana con una delibera del 23 aprile ha dato il via libera all’assunzione in libera professione di neolaureati senza specializzazione nei pronto soccorso. Lo stesso ha fatto l’Asl Città di Torino che ha appena assunto dieci neolaureati con partita Iva per la medicina d’urgenza. L’ultima spiaggia, utilizzata sempre più spesso, consiste nel ricorrere alle cooperative che forniscono medici a gettone.
Le condizioni di lavoro nei nostri ospedali diventano sempre più insostenibili, tanto che, come raccontato sempre da ilfattoquotidiano.it, anche i medici stranieri, arrivati negli anni scorsi con tanti sogni in testa, oggi lasciano l’Italia per altri lidi. “Sono aumentati del 25% quelli che si sono rivolti al nostro sportello intenzionati a tornare a casa”, ha spiegato Foad Aodi, presidente di Amsi, l’Associazione dei medici di origine straniera in Italia, e consigliere dell’Ordine dei medici di Roma.
L’ipotesi di abolire il numero chiuso dalle facoltà di Medicina è stata avanzata più volte dalla ministra della Salute Giulia Grillo. Il 23 settembre scorso in un post pubblicato sul Blog delle Stelle scriveva: “Da quando sono ministro della Salute mi sono subito concentrata sul tema della carenza di medici, ereditato da anni di disattenzione dei precedenti governi e da un’errata programmazione“. Il superamento del numero chiuso in Medicina era stato annunciato in un comunicato del Consiglio dei ministri dell’ottobre scorso come “obiettivo di medio-lungo periodo”, ma poi la questione è uscita dal dibattito politico. Il motivo? Le università non hanno le risorse per un’abolizione istantanea: servirà un processo per gradi. L’approdo finale dovrebbe essere l’utilizzo del cosiddetto modello francese: tutti dentro subito, ma sbarramento alla fine del primo anno.