Il Partito socialista del premier uscente Pedro Sanchez è in testa, i popolari affondano ottenendo il peggior risultato della loro storia, l’estrema destra di Vox entra in Parlamento per la prima volta nei 42 anni di storia della democrazia spagnola. Ma al di là di questi dati, le elezioni politiche non consegnano alla Spagna una maggioranza chiara per formare il prossimo governo. Proprio gli indipendentisti catalani che hanno fatto saltare il banco sulla legge di bilancio, costringendo Sanchez a convocare le elezioni anticipate, potrebbe diventare ancora l’ago della bilancia che permetterà o meno al Paese di avere un governo guidato dai socialisti. Re Filippo VI sarà nuovamente chiamato all’opera di mediazione: un ruolo inedito nella storia della corona iberica ma non per lui, già chiamato a intercedere tra i vari partiti durante la crisi del 2016.
Gli spagnoli hanno risposto alla chiamata delle urne, facendo registrare un’affluenza boom del 75,77%. Dopo lo spoglio di oltre il 90% delle schede, questi i risultati dei singoli partiti: i socialisti del Psoe vincono le elezioni 11 anni dopo l’ultima volta con il 28,7 per cento, davanti ai popolari del Pp di Pablo Casado che crollano al 16,7. Seguono i centristi di Ciudadanos con il 15,8 e il partito di sinistra Podemos al 14,3. Il movimento di estrema destra Vox guidato da Santiago Abascal è al 10,3 per cento. Gli altri partiti che prendono voti sono tutti regionali e in questo quadro, in cui né il centrosinistra né la destra hanno in mano i 176 posti necessari per guidare il Congresso dei deputati, sono appunto fondamentali per un’eventuale coalizione perché anche se con percentuali minime sul piano nazionale, il sistema elettorale spagnolo garantisce un saldo diritto di tribuna alle varie identità locali.
Con questi rapporti di forza, dunque, il nuovo Congresso spagnolo si comporrebbe così: il Psoe ha 122 seggi (ne aveva 85), il Pp avrà 65 deputati (ne aveva 137), i Ciudadanos saranno 57 (erano 32), Podemos conterà su 42 seggi (contro 71), i nazionalisti di Vox avranno 24 rappresentanti. Gli indipendentisti catalani di sinistra di Erc sono a 15 seggi, quelli di destra di Junts (guidati dall’ex governatore Carles Puigdemont) a 7 seggi, il partito nazionale basco prende 6 deputati, Eh Bildu (un’altra lista basca) altri 5, il partito di centrodestra della Navarra 2 seggi, il partito nazionalista delle Canarie 2 seggi, i catalani di Compromìs (ex alleati di Podemos) un seggio e un seggio anche per il partito regionale della Cantabria.
Detto tutto questo, infine, poche ore dopo la chiusura dei seggi l’unica ipotesi di una maggioranza al Congresso spagnolo (176 deputati necessari) è quella di una coalizione che comprenda socialisti, Podemos e alcuni dei partiti regionali. Con alcuni (i baschi) l’alleanza è storicamente più facile e naturale. Con altri (i catalani, anche di ispirazione socialista e di sinistra) è molto più difficile per via delle eventuali richieste delle liste indipendentiste, che vedono alcuni dei propri leader ancora in carcere. Ogni altro scenario è velleitario e impossibile: il centrodestra (chiamiamolo così) con Pp, Ciudadanos e Vox non arriva a 150. Fa eccezione una eventuale alleanza tra Psoe e Ciudadanos (insieme 180 parlamentari) che, ad oggi, sembra molto improbabile.
La cattiva notizia per Sanchez è che molto probabilmente dovrà dipendere almeno in parte dall’indipendentismo catalano per restare alla Moncloa. La buona notizi è che il Junts pel Catalunya dell’ex presidente Puigdemont ha perso il consenso dei catalani che hanno preferito la sinistra repubblicana di Erc, più dialogante con Madrid e guidata da Oriol Junqueras, attualmente in carcere con l’accusa di dichiarazione illegale di indipendenza dopo il referendum del 2017. La sola alleanza con Erc permetterebbe al centrosinistra di arrivare ai teorici 181 seggi e formare un governo. Fatto sta che la Catalogna, dopo la crisi di due anni fa e il ruolo avuto nella caduta del governo Sanchez, è stata al centro della campagna elettorale – con Vox che ha definito gli indipendentisti “traditori della patria” – continua ad essere un fattore determinante negli equilibri della Spagna.
Mondo
Elezioni Spagna, i socialisti vincono ma le urne non consegnano una maggioranza. Ultradestra di Vox irrompe in Parlamento
I socialisti del premier uscente Sanchez sono il primo partito ma non hanno i numeri per formare un governo. Il Partido popular crolla, mentre gli estremisti di Abascal entrano nel Congresso dei deputati per la prima volta nei 42 anni di storia della democrazia spagnola. Né il centrosinistra né il centrodestra arrivano ai 176 seggi necessari: gli indipendentisti catalani tornano a essere l'ago della bilancia
Il Partito socialista del premier uscente Pedro Sanchez è in testa, i popolari affondano ottenendo il peggior risultato della loro storia, l’estrema destra di Vox entra in Parlamento per la prima volta nei 42 anni di storia della democrazia spagnola. Ma al di là di questi dati, le elezioni politiche non consegnano alla Spagna una maggioranza chiara per formare il prossimo governo. Proprio gli indipendentisti catalani che hanno fatto saltare il banco sulla legge di bilancio, costringendo Sanchez a convocare le elezioni anticipate, potrebbe diventare ancora l’ago della bilancia che permetterà o meno al Paese di avere un governo guidato dai socialisti. Re Filippo VI sarà nuovamente chiamato all’opera di mediazione: un ruolo inedito nella storia della corona iberica ma non per lui, già chiamato a intercedere tra i vari partiti durante la crisi del 2016.
Gli spagnoli hanno risposto alla chiamata delle urne, facendo registrare un’affluenza boom del 75,77%. Dopo lo spoglio di oltre il 90% delle schede, questi i risultati dei singoli partiti: i socialisti del Psoe vincono le elezioni 11 anni dopo l’ultima volta con il 28,7 per cento, davanti ai popolari del Pp di Pablo Casado che crollano al 16,7. Seguono i centristi di Ciudadanos con il 15,8 e il partito di sinistra Podemos al 14,3. Il movimento di estrema destra Vox guidato da Santiago Abascal è al 10,3 per cento. Gli altri partiti che prendono voti sono tutti regionali e in questo quadro, in cui né il centrosinistra né la destra hanno in mano i 176 posti necessari per guidare il Congresso dei deputati, sono appunto fondamentali per un’eventuale coalizione perché anche se con percentuali minime sul piano nazionale, il sistema elettorale spagnolo garantisce un saldo diritto di tribuna alle varie identità locali.
Con questi rapporti di forza, dunque, il nuovo Congresso spagnolo si comporrebbe così: il Psoe ha 122 seggi (ne aveva 85), il Pp avrà 65 deputati (ne aveva 137), i Ciudadanos saranno 57 (erano 32), Podemos conterà su 42 seggi (contro 71), i nazionalisti di Vox avranno 24 rappresentanti. Gli indipendentisti catalani di sinistra di Erc sono a 15 seggi, quelli di destra di Junts (guidati dall’ex governatore Carles Puigdemont) a 7 seggi, il partito nazionale basco prende 6 deputati, Eh Bildu (un’altra lista basca) altri 5, il partito di centrodestra della Navarra 2 seggi, il partito nazionalista delle Canarie 2 seggi, i catalani di Compromìs (ex alleati di Podemos) un seggio e un seggio anche per il partito regionale della Cantabria.
Detto tutto questo, infine, poche ore dopo la chiusura dei seggi l’unica ipotesi di una maggioranza al Congresso spagnolo (176 deputati necessari) è quella di una coalizione che comprenda socialisti, Podemos e alcuni dei partiti regionali. Con alcuni (i baschi) l’alleanza è storicamente più facile e naturale. Con altri (i catalani, anche di ispirazione socialista e di sinistra) è molto più difficile per via delle eventuali richieste delle liste indipendentiste, che vedono alcuni dei propri leader ancora in carcere. Ogni altro scenario è velleitario e impossibile: il centrodestra (chiamiamolo così) con Pp, Ciudadanos e Vox non arriva a 150. Fa eccezione una eventuale alleanza tra Psoe e Ciudadanos (insieme 180 parlamentari) che, ad oggi, sembra molto improbabile.
La cattiva notizia per Sanchez è che molto probabilmente dovrà dipendere almeno in parte dall’indipendentismo catalano per restare alla Moncloa. La buona notizi è che il Junts pel Catalunya dell’ex presidente Puigdemont ha perso il consenso dei catalani che hanno preferito la sinistra repubblicana di Erc, più dialogante con Madrid e guidata da Oriol Junqueras, attualmente in carcere con l’accusa di dichiarazione illegale di indipendenza dopo il referendum del 2017. La sola alleanza con Erc permetterebbe al centrosinistra di arrivare ai teorici 181 seggi e formare un governo. Fatto sta che la Catalogna, dopo la crisi di due anni fa e il ruolo avuto nella caduta del governo Sanchez, è stata al centro della campagna elettorale – con Vox che ha definito gli indipendentisti “traditori della patria” – continua ad essere un fattore determinante negli equilibri della Spagna.
Articolo Precedente
Elezioni Spagna, affluenza alle 18: 60,7%. Un aumento del 9.5% rispetto al 2016
Articolo Successivo
Elezioni Spagna, vittoria del Psoe. Sánchez: “Saremo governo pro-Ue”. Serve l’alleanza, la piazza: “Non con Ciudadanos”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
Trump taglia gli aiuti a Kiev, Zelensky ora è pronto a firmare “una tregua immediata”. Mosca: “Positivo”. “Rearm Europe”: i punti del maxi-piano dell’Europa
Mondo
La Germania corre verso il riarmo: il piano da 900 miliardi di Merz per infrastrutture e forze armate
Zonaeuro
Poroshenko all’Eurocamera: l’ex presidente ucraino invitato dal Ppe. È un nome per il post-Zelensky?
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - I leader arabi concordano di istituire un fondo fiduciario per finanziare la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata dalla guerra, sollecitando il contributo internazionale per accelerare il processo di ricostruzione. Secondo il comunicato finale del vertice della Lega araba al Cairo, visionato dall'Afp, il fondo "riceverà impegni finanziari da tutti i paesi donatori e dalle istituzioni finanziarie" per realizzare progetti di ricostruzione nel territorio.
Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
Washington, 4 mar. (Adnkronos) - Secondo due fonti informate sui colloqui, gli Stati Uniti e l'Ucraina potrebbero firmare l'accordo sui minerali già oggi. Lo rende noto Abc News, secondo cui Trump ha indicato ai suoi principali consiglieri che vorrebbe concludere l'accordo prima del suo discorso congiunto al Congresso.
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
Il capo di Stato “ha ribadito la determinazione della Francia a lavorare con tutte le parti interessate per attuare una pace solida e duratura in Ucraina”, ha dichiarato la presidenza.
Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.