Il motivo per il quale Kim Jong-un ha aperto il dialogo con Donald Trump è intimamente legato all’economia. L’ostacolo principale all’ingresso della Corea del Nord nel mercato internazionale è rappresentato dalle sanzioni economiche, una rete di divieti commerciali che nel 2017 gli Stati Uniti hanno imposto per paralizzare l’economia nordcoreana. In effetti, le sanzioni hanno come obiettivo le esportazioni che generano le tre maggiori entrate in monete forti per Pyongyang: il carbone, i prodotti ittici e il tessile. Facile comprendere perché il fallimento dell’ultimo summit con Trump in Vietnam abbia profondamente deluso la leadership nordcoreana e suggerito un piano d’azione alternativo: un’alleanza commerciale con la Russia di Vladimir Putin.
Per capire questa strategia è bene fare un passo indietro. Nell’ultimo decennio l’economia nordcoreana ha subito una serie di trasformazioni che l’hanno resa più liberalizzata, pronta a un grande salto simile a quello che fece la Cina sotto Deng Xiaoping. Dalla fine degli anni 90, quando lo Stato non riusciva a sfamare la popolazione, sono stati incoraggiati i cosiddetti mercati informali, dove si potevano acquistare e vendere prodotti agricoli liberamente, senza l’intermediazione degli organi di Stato. Da allora, è fiorita attorno a tali mercati un’economia di mercato parallela. Sebbene non legalizzati, i mercati informali oggi sono tollerati. L’economia informale permette alle famiglie di integrare i salari statali operando su questi mercati. I membri delle cooperative agricole, ad esempio, vendono privatamente ciò che producono al di sopra della quota imposta dallo Stato. Sono anche liberi di disporre di tali redditi a loro piacimento, possono investire i soldi in una nuova produzione agricola o possono semplicemente intascare i guadagni.
Dal 2011, quando è salito al potere, Kim Jong-un ha incoraggiato la commercializzazione e la dollarizzazione dell’economia nazionale per evitare gravi carenze di prodotti e spinte inflazionistiche. Al won, la valuta nazionale, è stato permesso di agganciarsi al valore del dollaro sul mercato nero facilitando una politica dei cambi stabile, obiettivo non scritto della politica monetaria della Corea del Nord. Kim ha anche perseguito una politica di benevola negligenza nei confronti delle monete forti che ha permesso al dollaro, all’euro e allo yuan cinese di circolare liberamente insieme al won nell’economia nazionale.
Tra i cambiamenti avvenuti nell’ultimo decennio c’è anche la creazione della Shenzhen nordcoreana, una zona economica speciale sufficientemente lontana da Pyongyang da non “contagiare” l’economia nazionale e posizionata strategicamente per quanto riguarda il commercio internazionale. Si tratta di Rason. Situata nell’estremo angolo nord-orientale del Paese, Rason si trova vicino al confine con la Russia e con la Cina. Geograficamente Rason possiede, come Shenzhen, una posizione commerciale ideale. Esiste un collegamento ferroviario attraverso il confine russo: è così che Kim ha raggiunto questa settimana in treno Vladivostok. Esiste anche un servizio di traghetti che in dodici ore arriva al porto russo e un un porto per container abbastanza profondo da non congelarsi durante l’inverno. Il che significa che Rason potrebbe collegare le province del Nordest della Cina, che non hanno sbocco al mare, ai mercati ricchi del Giappone e degli Stati Uniti attraverso Vladivostok.
È sicuramente di questo canale commerciale che Kim e Putin hanno discusso, possibilmente con l’approvazione di Pechino. La partita a scacchi che il dittatore nordcoreano gioca con Trump si fa sempre più avvincente, e Kim la sta giocando magistralmente.