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Sicurezza, non c’è niente di bianco nelle morti per lavoro nero

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Il 28 aprile è la giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, istituita nel 2003 dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). La situazione in Italia è che “si continua a morire come si moriva 50 anni fa”: il commento è del segretario generale Cgil Maurizio Landini – stranamente sintetico – di qualche giorno fa quando, in un solo giorno, sono morti quattro operai sul lavoro. “Come 50 anni fa evidentemente il diritto alla salute sui luoghi di lavoro non è considerato elemento indispensabile di tutta la fase produttiva”. I quattro decessi sono stati:

1. al porto di Livorno un operaio di 51 anni, colpito alla testa dalla struttura in metallo di un ponte elevatore;
2. a Cuneo uno di 44 anni, schiacciato tra un tubo e una trave;
3. a Cagliari uno di 65 anni, investito da un furgone;
4. a Ravello un lavoratore ammazzato da un montacarichi; di anni ne aveva 54.

Il giorno prima nel Varesotto la vittima del lavoro aveva solo 28 anni: è morto nell’azienda di famiglia.

Dall’inizio dell’anno i decessi sono stati 200. A livello normativo a che punto siamo? Ad oggi ciò che è stato fatto rispetto al Testo Unico 81/2008 al più è stato aumentare alcune sanzioni per il contrasto al lavoro nero, a quello somministrato e sul potere di controllo delegato alle Prefetture. Niente è stato investito, ad esempio, sulla formazione certificata in azienda. In un recente rapporto del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia del lavoro) è stato evidenziato come il tasso di irregolarità nelle aziende sia aumentato di oltre il 3% nel solo ultimo anno. Il nero avanza, e pure il grigio.

Nei primi due mesi del 2019 le denunce di infortuni sul lavoro presentate all’Inail sono state 100.290, oltre 4mila casi rispetto al primo bimestre del 2018. Aumentano gli infortuni sul lavoro delle donne, in particolare quelli in itinere: oltre la metà dei casi mortali avviene nel tragitto di andata e ritorno tra casa e lavoro, cariche di stanchezza per doppio lavoro domestico e stress, correlato anche alla difficile possibilità di conciliazione tra lavoro di cura familiare (figli e a volte anziani a casa di cui occuparsi) e l’attività lavorativa extra. Il paradosso? Aumentano infortuni e malattie professionali in una situazione di generale crisi del lavoro. Soprattutto quando si parla di occupazione femminile (il tasso di impiego al femminile è del 49%).

Il grado di attenzione rispetto ai decessi sui luoghi di lavoro? Un esempio banale: nonostante il nero dell’irregolarità in cui avvengono, si continua senza alcun dubbio nell’utilizzo della dicitura “morti bianche”.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

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