Una volta rimesso in carreggiata il paese, il governo guidato da Pedro Sanchez ha tentato una correzione di rotta. La legge di bilancio 2019 conteneva infatti diverse misure redistributive tese a mitigare gli effetti dell’austerità imposta alla popolazione. Innalzamento del salario minimo a 900 euro, indicizzazione delle pensioni all’inflazione e maggiori tasse su redditi e patrimoni dei più abbienti. Tensioni interne alla maggioranza legate alla questione dell’indipendenza catalana hanno però fatto saltare il banco – la manovra è stata bocciata dal Parlamento – e indotto Sanchez a gettare la spugna portando il paese alla terza tornata elettorale in quattro anni. Sebbene alla luce dei sondaggi più recenti il quadro politico rimanga molto incerto, la Spagna ha buone ragioni per guardare al futuro con un moderato ottimismo. Certo l’instabilità politica, che potrebbe acuirsi dopo le elezioni, è un’insidia. Anche se, ricorda Fois, l’incertezza politica diventa davvero pericolosa per l’economia “quando provoca anche un’instabilità finanziaria. A quel punto cambia il comportamento delle famiglie e delle imprese che intimorite riducono
consumi ed investimenti”. Condizione che in Spagna non si è sinora verificata se non in misura minima. Piuttosto, rileva l’economista di Barclays, “il vero tallone d’Achille del paese rimane l’indebitamento privato che resta molto alto e, in larga misura, a tasso variabile. Questo rende la Spagna particolarmente vulnerabile ad eventuali aumenti dei tassi di interesse decisi dalla Banca centrale europea, che per il momento però non sono probabili”. Inoltre il risparmio privato è basso se confrontato a quello di altri paesi europei. E questo renderebbe particolarmente dolorose manovre fiscalmente restrittive qualora dovesse presentarsene la necessità per difendere le finanze pubbliche.

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