Diritti

Casapound, lo stupro non è uno scontro di civiltà. Ma una cultura da estirpare

“Difendila! Potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia”. Francesco Chiricozzi, consigliere comunale di Casapound a Vallerano (Viterbo) nonché simpatizzante del Congresso delle Famiglie che si è tenuto a Verona il 30 marzo scorso, lo scriveva sulla sua pagina Instagram dopo i femminicidi di Pamela Mastropietro e Desirée Mariottini, commessi da uomini immigrati. Insieme all’accorato appello per la difesa della donne di famiglia (probabilmente solo la sua), pubblicava un vecchio manifesto dei tempi della Repubblica sociale italiana. Una locandina che risaliva al 1944 e raffigurava un africano in abiti militari mentre violentava una donna bionda e dalla carnagione bianca. In quegli stessi anni il regime fascista occupava la Libia e i territori del Corno d’Africa, commettendo violenze e stupri nei confronti delle popolazioni locali per stabilire, come lucidamente scrive Chiara Volpato nel saggio La violenza contro le donne nelle colonie italiane, una gerarchia tra colonizzatori e colonizzati”.

Ieri il difensore delle donne, Francesco Chiricozzi, è stato arrestato insieme a Marco Licci, altro militante di estrema destra, per una violenza sessuale di gruppo contro una donna di 36 anni, che è stata presa a pugni (così scrivono i quotidiani) per vincerne la resistenza. Casapound si è affrettata a fare un comunicato nel quale dichiara che Francesco Chiricozzi si è già dimesso e auspica “castrazione” e “pene durissime per l’infame stupratore”. Anche Matteo Salvini tra un selfie e l’altro ha chiesto la castrazione chimica per gli stupratori, come se lo stupro fosse un problema biologico.

Gli ha risposto D.i.Re donne in rete contro la violenza, che ha commentato come “il grido all’emergenza e la richiesta di pene esemplari da parte di chi governa ignora quello che le donne dei centri antiviolenza ripetono da sempre, ovvero la violenza maschile contro le donne è un problema strutturale, radicato nella cultura patriarcale, e può essere contrastato solo promuovendo relazioni tra i sessi paritarie, incentrate sul riconoscimento e sul rispetto dei diritti e della libertà delle donne”. E’ evidente il cortocircuito della propaganda di Casapound (e quella di governo) quando denuncia lo stupro come “scontro di civiltà” tra uomini bianchi e neri se uno dei suoi esponenti, un difensore di donne, commette lui stesso uno stupro: “uomo nero” a sua insaputa.

La divisione del mondo tra la civiltà occidentale evoluta che rispetta i diritti delle donne e le culture degli immigrati che stuprano le “nostre” donne rende ciechi sulla vera natura del fenomeno. La violenza contro le donne è universale, attraversa confini geografici alimentata dalla cultura dello stupro e del femminicidio. Eppure c’è chi continua a solleticare la pancia della gente e strumentalizza una grave violazione dei diritti delle donne per sostenere politiche repressivo-securitarie e xenofobe, fino ad alimentare il razzismo.

Il 7 gennaio scorso, sempre Casapound denunciava un tentativo di stupro commesso da un immigrato contro una donna con queste parole: “Quante prove si cercano ancora, prima di capire che siamo in piena emergenza sicurezza?”, chiedeva Gino Tornusciolo, consigliere comunale di Casapound. “A Grosseto, in pochi mesi, si sono verificati tre gravi casi di violenza sulle donne e tutti vedono coinvolti immigrati; stiamo discutendo ogni giorno sull’applicabilità o meno del decreto Salvini, con farneticazioni da parte di sindaci che prevedono soggetti incontrollati, quando pare evidente che già le nostre strade sono piene di pericoli, quindi come chiediamo da tempo è incombente la necessità di fare qualcosa di concreto”.

Se Casapound identifica lo stupratore nell’uomo dalla pelle nera, c’è chi invece identifica lo stupratore col nero – inteso fascista – salvo scoprire di non essere affatto immune dalla questione. I “neri” a loro insaputa stanno anche tra “i rossi”. Mi riferisco allo stupro che avvenne in un centro sociale a Parma. Il caso scoppiò nel 2016 e allora scrissi che dobbiamo “scavare fino alle radici del sessismo e dell’odio per le donne e per i loro corpi, comprendere come si costruisce l’identità maschile e femminile, spezzare quelle alleanze tra uomini che si fondano e si rafforzano sull’esclusione delle donne: relegandole al silenzio, cancellandone la storia e l’identità, imponendo loro ruoli prestabiliti, investendole col disprezzo, con la denigrazione, con l’umiliazione fino alla conseguenza estrema, l’uso della violenza“.

Siamo stanche di stupri in tempi di pace e di stupri in tempi di guerra (e siamo anche stanche di guerre). A questo proposito ricordo che giorni fa l’Onu ha approvato la risoluzione contro lo stupro come arma di guerra, ma per evitare il veto degli Stati Uniti ha imposto che dal testo venisse tolta la parte che riconosceva “l’assistenza tempestiva ai sopravvissuti alla violenza sessuale, esortando a fornire servizi sanitari non discriminatori e completi”. Il motivo del veto? La risoluzione, così come era stata scritta originariamente, incrinava la propaganda antiabortista portata avanti dal governo Trump negli Usa. Le vittime di stupro quindi non avranno riconosciuto il diritto di accesso alla salute riproduttiva né a percorsi di sostegno.

Da quel testo è stata anche rimossa la parte che prevedeva l’istituzione di un organismo formale di monitoraggio e segnalazione degli stupri. La mozione è passata con 13 voti a favore e due astenuti: Russia e Cina. Il braccio di ferro sui corpi delle donne si disputa ovunque, anche all’Onu, se si deve votare una risoluzione per dare assistenza alle vittime di stupro ma si è costretti a cedere ai diktat dei signori della guerra o alle loro esigenze elettorali.

Non ci interessa la castrazione degli stupratori, non ci interessano gli scontri tra uomini a difesa delle “proprie donne”, perché poi dobbiamo difenderci dai “difensori”. Vi rinfresco la memoria con lo stupro commesso a L’Aquila da Francesco Tuccia, il militare che era in servizio per il progetto “Strade sicure” (a proposito delle raccomandazioni sulla “sicurezza” delle donne in strada) e che ridusse in fin di vita una giovane donna all’uscita da una discoteca, lasciandola esanime a terra, come una cosa.

Quindi, prima di gridare all’uomo nero e alla sua castrazione, domandatevi quanto la cultura dello stupro vi appartenga e se considerate le donne come oggetti di cui poter disporre. E smettete di tirar per la giacchetta le femministe ogni volta c’è da condannare la violenza commessa dagli immigrati: la violenza contro le donne la contrastiamo e denunciamo ogni giorno, da chiunque sia commessa.

@nadiesdaa