Si è conclusa con il triplo ‘Presente‘ e il braccio alzato per il saluto romano la commemorazione per Sergio Ramelli a Milano alla quale hanno partecipato circa 1000 persone. Al termine della “passeggiata”, come l’hanno definita i militanti, concordata con la forza pubblica, i manifestanti si sono schierati silenziosamente davanti alla lapide in via Paladini, dove il giovane di estrema destra venne aggredito il 29 aprile del 1975. Hanno issato una corona, dato l’attenti e intonato il triplo presente. Poi la manifestazione si è conclusa.
È stata una serata di tensione quella vissuta in Piazzale Susa. Durante il corteo state due, consecutive, le cariche di alleggerimento che la polizia ha dovuto fare per far rispettare il divieto di sfilare deciso dal prefetto nel corso della commemorazione di Sergio Ramelli a Milano. Dal presidio si è infatti staccato un gruppo numeroso che ha imboccato viale Romagna e gli agenti sono dovuti intervenire per bloccarli. Due gli agenti contusi e due i manifestanti feriti, entrambi non gravemente, ma per un ex militare appartenente a un gruppo skinhead si è temuto il peggio quando ha perso conoscenza steso a terra, con una crisi epilettica successiva a un colpo ricevuto in testa. Il secondo ferito è un architetto milanese, inciampato nei concitati momenti dei tafferugli, con un profondo taglio a un sopracciglio. Spetterà alla Digos ricostruire l’accaduto ma i manifestanti hanno denunciato che i feriti sono stati “manganellati durante le cariche”. A lungo il gruppo che si è staccato dal presidio in piazzale Susa è stato controllato da due cordoni delle forze di polizia che hanno poi concesso, dopo lunghe trattative condotte anche dai parlamentari di Fratelli d’Italia presenti alla manifestazione, che i militanti raggiungessero la lapide in via Paladini, che ricorda il luogo dove Ramelli venne aggredito. Senza un corteo, ma sfilando a gruppi, i militanti di estrema destra hanno quindi srotolato un grande striscione con la scritta ‘Nel loro nome‘, dato che il 29 aprile si ricordano anche Enrico Pedenovi e Carlo Borsani