Secondo David Coulthard “esistevano due Ayrton: uno dentro la vettura e un altro fuori”. Il primo concentrato e spietato, il secondo gentile e buono. È proprio quest’ultimo che si manifesta nel 1992 all’Ospedale di Imola, con il Mondiale prossimo a fare tappa sulla pista romagnola. Sta andando a incontrare Massimo Galassi, tetraplegico per una caduta in moto da quando ha 18 anni. Massimo è incapace di parlare ma non di relazionarsi e Ayrton non perde l’occasione per stargli vicino e raccontagli la sua vita.
Trova il tempo di andare da Massimo anche nel 1994: mancano una ventina di giorni a quella gara, al primo maggio a Imola. Tre settimane dopo, alle 14.17, la sua Williams sbatte contro il muro alla curva del Tamburello. Dentro la vettura di Senna c’è una bandiera austriaca in ricordo di Roland Ratzenberger – morto due giorni prima – e dentro la sua tuta un bigliettino: “Nessuno mi può togliere l’Amore che Dio ha per me”. Fu uno spartiacque, la sua morte. Sopratutto in fatto di sicurezza: non è un caso che dopo quella data sia morto in pista un solo pilota, Jules Bianchi nel 2015.
Prima di morire, Senna aveva fatto avere al suo amico tetraplegico anche una cassetta, con registrata la sua voce. “Ciao Massimo, qui è Ayrton Senna, il pilota di Formula 1″, cominciava il suo discorso. “Il mio nome è Ayrton e faccio il pilota”, cantava Lucio Dalla nel 1996. Il mito in una frase.