Il testo del decreto pubblicato in Gazzetta martedì mette una pezza al pasticcio degli accertamenti avviati nei confronti dei ricercatori e scienziati che dopo il rientro hanno beneficiato del regime fiscale di favore previsto da una legge del 2010 pur non essendosi iscritti all'Aire. Ma la soluzione vale solo per il futuro. Arrivano poi sgravi per tutti i lavoratori stranieri o italiani che si trasferiscono nella Penisola dal 2020
Gli scienziati e ricercatori tornati in Italia dall’estero e “stangati” dall’Agenzia delle Entrate non riceveranno alcun rimborso nel caso abbiano già pagato le cifre richieste dal fisco. Questo nonostante il decreto Crescita, pubblicato martedì sulla Gazzetta ufficiale, metta una pezza al pasticcio degli accertamenti avviati nei confronti dei “cervelli” di rientro che avevano beneficiato del regime fiscale di favore previsto da una legge del 2010 pur non essendosi iscritti all’Aire mentre erano all’estero. A specificarlo è lo testo dl, che al comma d dell’articolo 1 sancisce: “Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo“. Una beffa, dunque, per quanti si sono affrettati a pagare imposte aggiuntive e sanzioni dopo aver ricevuto dalle Entrate una lettera di contestazione che chiedeva gli arretrati.
Il caso era deflagrato all’inizio di marzo, quando tredici scienziati italiani rientrati dall’estero hanno scritto al Ministero dell’Università e della ricerca denunciando che le Entrate avevano contestato loro il fatto di aver beneficiato della norma che abbatte al 10% la base imponibile dei redditi generati dopo il ritorno in Italia. Un beneficio che secondo l’Agenzia spetta solo a chi ha segnalato di essersi spostato all’estero iscrivendosi alla Anagrafe degli italiani residenti all’estero. “Per alcuni di noi le richieste di rimborso e sanzioni potrebbero superare i 100mila euro, distruggendo i progetti di casa e famiglia costruiti con sacrificio negli anni”, spiegava la lettera. Il Miur ha contattato il Tesoro e nel decreto Crescita è stata prevista una soluzione. Ma solo per il futuro.
“I cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi“, si legge infatti nel decreto. “Con riferimento ai periodi d’imposta per i quali siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili ovvero oggetto di controversie pendenti in ogni stato e grado del giudizio nonché per i periodi d’imposta per i quali non sono decorsi i termini (…), ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali di cui al presente articolo nel testo vigente al 31 dicembre 2018, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi”. Ma “non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo”.
Docenti o ricercatori che rientrano dal 2020 vedranno in compenso salire da tre a cinque anni il periodo in cui avranno diritto all’agevolazione. Il beneficio si estende fino a 8 anni per chi ha un figlio minorenne o a carico o compra una casa in Italia, 11 anni per chi ha due figli e 13 anni per chi ne ha tre. Arriva poi uno sgravio fiscale per tutti i lavoratori stranieri o italiani che rientrano dal 2020 dopo essere stati all’estero per almeno due anni e si fermano in Italia altrettanto: pagheranno le tasse solo sul 30% del reddito. Lo scontro vale anche per i redditi di impresa generati da attività avviate a partire dal 2020. E il periodo di fruizione si allunga di 5 anni per chi ha almeno un figlio minorenne o a carico oppure compra casa. Chi trasferisce la residenza al Sud – in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna o Sicilia – avrà un incentivo ancora più ghiotto perché vedrà assoggettato all’Irpef solo il 10% del reddito.