Le Ferrovie dello Stato hanno chiesto più tempo per presentare il piano perché manca ancora all'appello un socio che copra il 40 per cento del capitale affiancandosi a Delta e Tesoro che acquisterebbero entrambi un 15%. Continuano i contatti con Atlantia, la holding dei Benetton, ma l'ad Castellucci frena: "Non possiamo impegnarci su fronte così complesso"
Due anni di attesa. Ma ancora non c’è una soluzione al caso Alitalia, finita in amministrazione straordinaria nel maggio 2017. Le Ferrovie dello Stato, candidate al salvataggio del vettore, hanno chiesto ai commissari e al governo una nuova proroga rispetto alla scadenza dello scorso 30 aprile. Così probabilmente, la formalizzazione di un’offerta definitiva per il salvataggio dell’ex compagnia di bandiera non arriverà prima delle elezioni europee (26 maggio) secondo uno schema politico già visto in passato. D’altro canto, a fine marzo le Ferrovie avevano domandato al governo di far slittare il termine ultimo per l’offerta definitiva al 31 maggio, riuscendo però ad ottenere una proroga solo fino alla fine di aprile.
Il problema però è che finora il tempo è passato invano. Nei giorni in più concessi dall’esecutivo, le Ferrovie non sono riuscite a mettere assieme la cordata di investitori necessaria al salvataggio. Le adesioni sono infatti ferme al 60% del capitale esattamente come un mese fa. C’è l’impegno delle Ferrovie per il 30% del capitale e quello di Delta e del Tesoro per il 15% ognuno. Ma manca all’appello ancora un socio che copra il 40 per cento sborsando fra i 300 e i 400 milioni. Per questa quota da tempo sono in corso contatti con il gruppo Atlantia, la holding della famiglia Benetton cui fanno capo anche le Autostrade per l’Italia. La società guidata da Giovanni Castellucci ha però finora smentito un suo coinvolgimento nella partita. “Abbiamo tanti fronti aperti e non possiamo impegnarci in un fronte così complesso come Alitalia”, ha ribadito Castellucci in occasione della inaugurazione della mostra su Leonardo da Vinci all’aeroporto di Fiumicino. “Ci auguriamo che Alitalia possa trovare un suo assetto definitivo” ha poi aggiunto il manager.
Tuttavia è indubbio che un intervento di Atlantia in Alitalia potrebbe aiutare a “normalizzare” i rapporti con il governo che sta valutando il da farsi sul tema delle concessioni autostradali alla luce della tragedia del Ponte Morandi. D’altro canto, l’esecutivo teme che l’opzione Atlantia possa trasformarsi in un boomerang politico visto che, subito dopo la tragedia di Genova, il Movimento 5 Stelle aveva ipotizzato la revoca delle concessioni autostradali in mano ai Benetton.
Per il governo Atlantia non sarebbe però l’unica via di uscita all’impasse Alitalia. Lo scorso 25 aprile, Repubblica ha tirato in ballo anche un altro potenziale investitore: il gruppo delle concessioni autostradali Toto. Esattamente come per i Benetton, anche per la famiglia abruzzese l’investimento nel vettore aereo non sarebbe una novità. Gli imprenditori, che gestiscono la tratta Roma-Pescara-L’Aquila con la A24 e la A25, hanno fatto parte della cordata dei capitani coraggiosi per il salvataggio dell’ex compagnia di bandiera ai tempi del governo di Silvio Berlusconi. All’epoca l’investimento in Alitalia (circa 60 milioni per poco più del 5%) avvenne subito dopo la cessione della controllata Air One all’Alitalia a condizioni molto vantaggiose: la vendita fu conclusa per 450 milioni, oltre a 600 milioni di debiti finanziari. Non senza successivi contenziosi. Così anche un salvataggio siglato Toto rischia di creare un certo imbarazzo al governo. Anche perché l’intreccio con le concessioni autostradali, rinnovi, investimenti e aumenti di pedaggi, non è in fin dei conti molto diverso da quello di Atlantia.
Per questa ragione, sullo sfondo resta ancora l’opzione Lufthansa che non ha mai formalizzato un’offerta, ma che ha già prospettato un taglio di cinquemila unità al personale Alitalia (circa 11mila persone). Tuttavia per ora l’unica certezza è che bisogna fare presto, come puntualizzato dal commissario Daniele Discepolo nell’ultima audizione in parlamento. Anche perché “senza una decisione finale per legge la compagnia finisce in liquidazione”.