Non si danno per vinte le compagnie assicuratrici che, a denti stretti, lo scorso dicembre hanno pagato il conto del drammatico caso della piccola Eleonora Gavazzeni, nata tetraplegica e sordocieca in conseguenza delle manovre errate compiute dal personale sanitario in sala parto 10 anni fa. La Cassazione in ambito penale, infatti, ha confermato chi sono i responsabili dell’accaduto. Appare evidente che il risarcimento sia dovuto, ma le assicurazioni hanno ancora due carte da giocarsi e intendono farlo: il tempo e gli ulteriori due gradi di giudizio in sede civile.
Il 29 marzo scorso dopo 7 ore e mezzo di camera di consiglio e la richiesta di assoluzione avanzata per entrambe le ginecologhe da parte del Procuratore Generale, i giudici della Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione hanno emesso sentenza nei confronti dei ricorsi proposti dall’ospedale rodigino e dalle due dottoresse, ritenuti penalmente responsabili dalla Corte di Appello di Venezia delle gravissime patologie che affliggono la piccola Eleonora fin dalla nascita. Ebbene, la Cassazione ha confermato la responsabilità penale della dottoressa Cristina Dibello e dell’Azienda sanitaria.
La parziale conferma della sentenza di secondo grado (che aveva riconosciuto la responsabilità penale anche dell’altra dottoressa presente quella notte di dieci anni fa in sala parto, Dina Paola Cisotto) ha concluso definitivamente il capitolo penale di questa triste vicenda e ci consente di dire con certezza assoluta chi siano i colpevoli. “Un risultato importantissimo – ha confermato l’avvocato della famiglia Gavazzeni, Mario Cicchetti – che, senza ombra di dubbio, costituirà un importante precedente con sicure e benefiche ripercussioni anche nel giudizio di appello in ambito civile”.
Già, perché la battaglia legale della famiglia Gavazzeni contro le assicurazioni e l’ospedale è ancora in corso in sede civilistica in quanto, dopo la sentenza in primo grado che ha visto la condanna delle due compagnie coinvolte a riconoscere i 5,1 milioni di euro da destinare a Eleonora e alla sua famiglia, le stesse compagnie hanno chiesto la restituzione di tale somma, continuando a ritenersi totalmente estranei ai fatti e, in ogni caso, sostenendo l’inammissibile, quanto scientificamente inaccettabile, tesi di una ridotta aspettativa di vita della piccola Eleonora.
In altre parole le compagnie, pretendono di pagare di meno in quanto, secondo loro, la piccola non vivrà ancora a lungo e quindi non le serviranno. Eleonora, invece, pur nei limiti delle sue condizioni, è una bambina forte e determinata. Così come sono determinati i suoi genitori, Davide e Benedetta. Quella delle assicurazioni del resto è una strategia che gli addetti ai lavori conoscono fin troppo bene, e che ha l’obiettivo di portare allo sfinimento i danneggiati.
Del resto la strategia del dilatare il più possibile i tempi offre alle assicurazioni una possibilità che difficilmente si lasciano scappare, in questo come in casi simili: fintanto che la sentenza di condanna al pagamento del risarcimento non passerà in giudicato, il riconoscimento di tale somma non si potrà mai considerare come definitivo, perché una sentenza di grado successivo potrebbe revisionarlo e magari diminuirlo. E se consideriamo che il risarcimento per l’invalidità permanente viene calcolato e cristallizzato nel tempo in funzione di un’aspettativa di vita prestabilita in base a parametri fissi statistici e probabilistici, nel caso in cui il danneggiato, nei tempi biblici della nostra giustizia, dovesse venire a mancare prima che la vicenza giudiziaria sia conclusa, la somma dovrebbe essere ricalcolata sulla durata effettiva della vita del soggetto danneggiato, e non più sull’aspettativa presunta di vita.
Un esempio. In base alle tabelle del Tribunale di Milano (che sono quelle maggiormente utilizzate nei tribunali di tutta Italia), una persona di 40 anni che dovesse subire, a seguito di un sinistro, una invalidità del 90 per cento, avrebbe diritto a circa 1 milione di euro di risarcimento. Ma se la compagnia dovesse ricorrere in giudizio o comunque dilatasse i tempi di riconoscimento del risarcimento e, nel frattempo, il danneggiato dovesse venire a mancare, supponiamo, due anni dopo, la somma subirebbe una diminuzione di più dell’80%. È evidente che, per le assicurazioni, il risparmio è il miglior guadagno.
Non va dimenticato però, che dietro a questi freddi conteggi c’è una vicenda che ha avuto ripercussioni non soltanto sulla salute di una bambina, ma su un’intero nucleo famigliare, ridotto sul lastrico per garantire la necessaria assistenza medica alla figlia per 10 lunghissimi anni. È vero, in sede penale una condanna definitiva è arrivata. Ma c’è una famiglia che sta scontando una pena ben più grave e dolorosa, e del tutto ingiustamente, da ormai dieci anni: sopportare i soprusi e i giochi di potere di colossi assicurativi per i quali tragedie e vite spezzate in conseguenza di casi drammatici come questo sono soltanto numeri, da gestire al risparmio e pagando il più tardi possibile. Sempre e comunque.