Quella in corso da circa 20 giorni, al largo delle coste giapponesi, è una delle operazioni navali congiunte più imponenti che si ricordi fra la Marina americana e la Forza di Autodifesa Marittima, ciò che in termini concreti rappresenta la marina militare di Tokyo. L’obiettivo della missione è il recupero dei resti di un F-35A, di cui si sono perse le tracce lo scorso 9 aprile. Le cause dell’incidente sono ufficialmente avvolte nel mistero. La perdita di anche soltanto uno di questi velivoli lancia un segnale molto negativo agli alleati di Washington interessati all’acquisto in massa di questo mezzo d’avanguardia, compresa l’Italia. Assai più minaccioso sarebbe invece lo scenario, poco plausibile ma pur sempre possibile, in cui lo scafo e l’equipaggiamento a bordo venissero recuperati e analizzati da altre forze militari.

L’esercitazione di una squadriglia composta da quattro F-35, decollati dalla base aerea di Misawa, nella provincia settentrionale di Aomori, ha preso una piega drammatica e inaspettata. Circa mezzora dopo il decollo degli aerei, uno dei piloti avrebbe lanciato il segnale che determina l’interruzione immediata dell’esercitazione. Dopo aver perso il controllo, per cause tuttora non chiare, l’aereo sarebbe scomparso dai radar nella serata del 9 aprile, a circa 135 chilometri di distanza dalla costa. Il luogo sarebbe in acque internazionali ma all’interno della zona economica esclusiva giapponese. I soccorsi avrebbero ritrovato soltanto alcune parti della coda dell’aereo, unica prova concreta resa nota al pubblico che testimonia il suo inabissamento. Il pilota, il maggiore 41enne Acinosi Hosomi, è ancora disperso.

L’F-35 è uno degli assi nella manica nella nuova strategia militare degli Stati Uniti in Asia orientale e un tassello determinante dell’apparato di difesa degli alleati nella regione, fiore all’occhiello della Lockheed Martin. Circa un anno fa, il Pentagono aveva stimato l’intero costo dello sviluppo e acquisto dell’F-35 in circa 406 miliardi di dollari, rendendolo così il programma il più costoso nella storia militare americana. Il comandante delle forze americane nel Pacifico, il generale Charles Brown, prevede che entro il 2025 vi saranno oltre 200 F-35 a disposizione di Usa e alleati nel Pacifico, la maggior parte dislocati in Giappone, Corea del Sud e Australia. Soltanto Tokyo sta pianificando di acquistarne 147, di cui la maggior parte F-35A, lo stesso modello protagonista dell’incidente.

Anche l’Italia è storicamente interessata al programma F-35 e ad oggi sono 90 gli aerei che ufficialmente dovrebbero entrare a far parte dei mezzi dell’aeronautica italiana. Il proposito è quello di avere già entro il 2023 almeno 48 nuovi caccia, 32 dei quali sarebbero proprio F-35A, il medesimo esemplare che è andato perso nel Pacifico.

Il recupero di scafo e scatola nera sono così fondamentali per determinare cosa sia avvenuto ed evitare il futuro ripetersi di simili episodi. Già nel 2018 un F-35 (modello B) si era schiantato nella Carolina del Sud, durante un addestramento. D’altronde, con un costo che si aggira attorno ai 100 milioni l’uno (il prezzo subisce variazioni anche importanti in base a modello e luogo di assemblaggio), qualsiasi problema nella fabbricazione e sicurezza del caccia stesso ridurrebbe contestualmente l’interesse dei paesi partner ad importarne un così alto numero.

Così, mentre l’intera flotta giapponese di F-35 è stata temporaneamente messa a terra, fremono invece le ricerche per mare e cielo. La forza di autodifesa giapponese e il comando americano hanno fornito alcuni fra i mezzi più avanzati a loro disposizione per questa missione. Il destroyer americano Uss Stethem, equipaggiato con il radar Aegis, lo stesso di cui Tokyo vorrebbe fornirsi per implementare la propria sicurezza minacciata dal programma balistico della Corea del Nord è stato impiegato nell’analisi dei fondali marini mentre diversi B-52, decollati dalla base americana di Guam, nell’Oceano Pacifico, avrebbero sorvolato la zona.

Una priorità sinora mai vista prima per il recupero di un singolo mezzo disperso. Lo scontro che uccise sei membri dell’equipaggio di un F/A-18 e un aereo da rifornimento KC-130 Hercules al largo del Giappone, nel dicembre scorso, non portò a una simile mobilitazione.

Il 23 aprile scorso la Kaimei, un vascello di proprietà del Ministero della Scienza e Tecnologia giapponese e dotato di ecoscandagli in grado di sondare gli oceani fino a 3mila metri di profondità, è stato ingaggiato per partecipare alle ricerche dell’F-35 scomparso. Il Ministro della Difesa giapponese ha ammesso che gli Stati Uniti hanno assoldato anche la Van Gogh, un’imbarcazione privata dotata di gru capaci di raggiungere i fondali marini dove si troverebbero i resti dell’aereo.

Sia il Pentagono che le autorità nipponiche escludono categoricamente che forze navali di paesi terzi si possano impossessare di ciò che rimane dell’F-35. Il timore, espresso da più parti ma escluso categoricamente attraverso le fonti ufficiali, è che Russia e Cina, che dispongono di centinaia di mezzi aerei e navali nel Pacifico settentrionale, possano adoperarsi per il recupero del relitto e mettere così le mani su quello che sarebbe un bottino enorme in termini di tecnologie belliche. Lo schianto di un F-35 nell’Oceano Pacifico rappresenta la prima vera opportunità per gli avversari di Washington di impossessarsene materialmente. Un annuncio del ritrovamento dell’F-35 da parte delle forze americane è stato poi smentito dalle stesse nella giornata del 30 di aprile scorso, il tutto in poche ore.

Una missione di recupero sui fondali marini di tecnologia militare, organizzata da rivali, ha almeno un precedente storico, risalente alla Guerra Fredda. Dai documenti rilasciati dalla CIA, si è appreso che l’agenzia organizzò dal 1968 al 1974 una massiccia operazione al largo delle Hawaii. L’obiettivo fu il recupero di un sottomarino sovietico, affondato sul finire degli anni ’60, non lontano delle isole vulcaniche. Senza che Mosca se ne accorgesse, dopo 6 anni e centinaia di milioni di dollari spesi, Washington riuscì a recuperare alcuni manuali del sottomarino stesso e due siluri armati con testate atomiche.

Twitter: @Frank_Stones

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