Per l'Epa il pesticida non provoca danni alla salute se "usato in accordo con le indicazioni presente sull’etichetta", ma negli Stati Uniti sono migliaia le cause contro la Monsanto. E a due agricoltori in California sono già stati riconosciuti 80 milioni di dollari di risarcimento
Il mondo scientifico non ha ancora dato un giudizio univoco, la politica da una parte all’altra del mondo si divide, i dubbi restano. Intanto però per l’Agenzia per l’ambiente degli Stati Uniti il glifosato, l’erbicida prodotto dalla Monsanto e finito sotto accusa per i possibili effetti sulla salute, non è cancerogeno. Una presa di posizione che va contro quanto affermato finora dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il glifosato è impiegato in molti settori, a partire dall’agricoltura dov’è molto utilizzato nei pesticidi. “L’Epa – si legge in una nota dell’Agenzia statunitense – continua a sostenere che non ci siano rischi alla pubblica salute quando il glifosato è usato in accordo con le indicazioni presente sull’etichetta e che il glifosato non è cancerogeno”. Una posizione, per dire il vero, che l’agenzia aveva già espresso due anni fa anche se negli Stati Uniti sono migliaia le cause intentate contro la Monsanto, che ora è controllata dalla Bayer, sui presunti effetti della sostanza. Le ultime riguardano il caso di un agricoltore e un giardiniere della California, ai quali i tribunali Usa hanno riconosciuto danni per oltre 80 milioni di dollari perché ha ritenuto che si siano ammalati di cancro a causa dell’esposizione al diserbante Roundup, prodotto appunto dalla multinazionale.
L’Epa, nel 2017, aveva già classificato il glifosato come probabilmente non cancerogeno per gli esseri umani, anche se aveva identificato un eventuale rischio ambientale nell’uso eccessivo di pesticidi a base di glifosato proponendo misure per limitarne l’uso e per evitare che le piante infestanti sviluppassero resistenza ai diserbanti. Una decisione in controtendenza con quanto suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, nel 2015, aveva definito il glifosato come “probabilmente cancerogeno per gli esseri umani”.
Intanto il mondo scientifico non ha dato un giudizio univoco. Recentemente, ad esempio, uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports ha trovato effetti negativi sulla salute dei ratti che duravano per tre generazioni, ma le conclusioni sono state contestate. Secondo il Gruppo Informale Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura (Seta) l’analisi ha diversi errori di metodo, tra cui un dosaggio troppo alto del glifosato rispetto a quello ritenuto sicuro. “L’autore principale ha ricevuto per questo progetto soldi da una fondazione di stampo religioso abbastanza nota per finanziare molti programmi antiscientifici, inclusi alcuni sul negazionismo climatico e nel campo delle cellule staminali”, rileva Enrico Bucci, docente della Temple University e uno dei fondatori del gruppo, che chiederà il ritiro dello studio. Sulla questione esiste al momento una grande varietà di posizioni: lo scorso febbraio, l’Agenzia per la salute pubblica del Brasile (Anvisa) ha classificato il glifosato non cancerogeno, il linea con la scelta statunitense; nello stesso periodo, il Vietnam ha rimosso l’agente chimico dalla lista delle sostanze autorizzate nel Paese, determinando di fatto il blocco delle importazioni di pesticidi. In Francia, il Ministro dell’Ambiente François de Rugy ha annunciato misure per abbandonare i pesticidi a base di glifosato entro il 2020 e per dimezzare l’utilizzo di prodotti fitosanitari entro il 2025. L’Unione europea, nel 2017, ha rinnovato la concessione all’uso del glifosato fino al 2022, ma nel frattempo ha incaricato 4 Paesi comunitari (Francia, Ungheria, Olanda e Svezia) di guidare le indagini finalizzate a stendere un report sull’effettiva pericolosità del prodotto in ottica di un’eventuale revisione della concessione.