Se i problemi sono stati risolti, significa che i problemi c’erano. Una ovvietà del genere riporta alla mente il grande Max Catalano oppure il celeberrimo Forrest Gump, ma la questione è talmente seria da sgombrare subito la scena dal musicista della gang di Renzo Arbore in Quelli della notte o da personaggi della cinematografia da Oscar. I problemi sono quelli degli apparati Huawei o, a esser più precisi, sono quelli che certi dispositivi elettronici possono generare a chi se ne avvale, dal piccolo consumatore alla ciclopica realtà dell’architettura di telecomunicazioni di un Paese. La storia è sempre la stessa e – visto il suo lento trasformarsi in epopea – non ci sarà da stupirsi se le relative scene finiranno nei policromi dipinti sulle fiancate di qualche carrettino siciliano 2.0, rigorosamente driverless.

Parliamo della vexata quaestio dell’affidabilità dei gioielli tecnologici di produzione cinese che – a fronte di straordinarie performance e innegabile economicità – riservano qualche legittima preoccupazione. Se ne sono occupati i governi di mezzo mondo, primo tra tutti quello statunitense che non ha esitato a sconsigliare l’impiego di certe dotazioni prospettando il rischio di spionaggio da parte dell’intelligence di Pechino. Quelle “macchine” non garantirebbero la riservatezza delle comunicazioni che sono funzionalmente chiamate a veicolare e, anzi, sarebbero state programmate per riservare accessi privilegiati agli 007 cinesi. Prima c’era un sospetto, pronto a diradarsi a seguito di argomentate smentite, ma ora ci sono fatti nuovi che possono scuotere anche chi aveva una comprensibile sensazione che certi timori fossero solo figli di una bieca guerra commerciale.

Oggi un operatore telefonico fa sapere (e come al solito è Bloomberg a fare lo scoop con un dettagliatissimo articolo dell’impeccabile Daniele Lepido) di aver trovato soluzione a una serie di “backdoor” rilevate in apparecchiature Huawei già nel 2011 e poi nel 2012. Due buone nuove. La prima è che le pericolose vie d’accesso non autorizzate sono state bloccate. La seconda, invece, è che l’operazione che ha portato allo scampato pericolo trova radice in Italia.

Veniamo alle cattive notizie. Dal 2012 a oggi sono trascorsi sette anni ed è scontato domandarsi cosa sia successo in questo interminabile arco temporale. Il tempo trascorso, poi, ci dà misura di quanto – pur attrezzati con mezzi e specialisti – sia difficile scovare le trappole abilmente nascoste dai tecnici della casa produttrice. L’ombra tricolore sulla faccenda incuriosisce e la toppa messa da una compagnia telefonica potrebbe far correre il pensiero a Telecom Italia, o Tim che dir si voglia. Lo storico “carrier” nazionale ha una solida tradizione nell’area della ricerca e dello sviluppo (basti pensare al mitologico Cselt, oggi Tim Lab) e si sarebbe portati ad avviare una orgogliosa standing ovation. Purtroppo (solo in termini patriottici) il merito va alla locale succursale “regionale” della britannica Vodafone.

Vodafone, di sicuro il primo operatore telefonico continentale, ha eviscerato il software a bordo degli apparati Huawei e a suo tempo ha preso atto della presenza di backdoor (letteralmente “porte sul retro”, ossia ingressi secondari non presidiati) che avrebbero potuto consentire accessi non autorizzati sulla rete nazionale fissa e mettere a repentaglio la riservatezza di famiglie e aziende. Il colosso Tlc ha segnalato quanto rilevato al produttore e chiesto la rimozione delle istruzioni nocive dai router esaminati: nonostante le rassicurazioni ricevute dai laboratori di Shenzen, gli esperti di Vodafone hanno riscontrato il persistere dell’insidia e hanno avviato le iniziative che adesso avrebbero sanato la situazione.

Nel frattempo quali altri sotterfugi si sono materializzati nelle tecnologie che costituiscono la spina dorsale e il sistema nervoso del nostro Paese? Su questa delicata scacchiera, a quali mosse intendono dar luogo le istituzioni di casa nostra? Quando sentiremo il rigurgito di amor proprio che in prospettiva ci porterà a targare come italiana la supremazia nella cyber security? Nessuno sente strette le catene di un incombente 5G improntato a relegarci in ruoli sempre più subordinati? Le domande potrebbero continuare in un soliloquio di crescente rassegnazione, lievemente macchiata dalla speranza che qualcuno prima o poi faccia qualcosa. Spes ultima dea, ma siamo sempre più atei…

@Umberto_Rapetto

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Radio Padania, l’aut aut del Mise: “Stop alle trasmissioni sul digitale o verrà spenta del tutto”

next
Articolo Successivo

Mediaset va a gonfie vele. Ma alle porte c’è ‘l’altra tv’ a sfidarla

next