William Barr sempre più sotto attacco. I Democratici chiedono le dimissioni dell’attorney general dopo la sua testimonianza – esitante e piena di contraddizioni – al Senato. Barr peraltro ha annunciato che non si presenterà davanti alla Commissione giustizia della Camera, controllata dai Democratici, che voleva a sua volta interrogarlo nelle prossime ore. È quindi possibile che ora proprio la Camera emetta un sub poena, un mandato di comparizione. Il segretario alla giustizia quindi rischia, e molto: potrebbe essere incriminato per “disprezzo” del Congresso, oltre che per aver occultato prove di reato emerse contro Donald Trump.
Barr ha giustificato il rifiuto di apparire di fronte alla Camera con il format scelto dalla Commissione, per interrogarlo. La reazione del chairman democratico Jarrold Nadler è stata durissima: Barr “sta cercando di ricattare la Commissione – ha detto -, non possiamo permettere all’amministrazione di dettare al Congresso come dobbiamo muoverci”. A chiedere le dimissioni dell’attorney general sono stati, nelle ultime ore, diversi candidati democratici alla presidenza: da Joe Biden a Elizabeth Warren a Corey Booker a Kemala Harris. Uno dei senatori più influenti, Patrick Lehay, ha riassunto per tutti i motivi della richiesta di allontanamento: Barr sarebbe stato, con le sue azioni e dichiarazioni, “volutamente ingannevole”.
L’attorney general è, in effetti, in serie difficoltà. Sotto accusa è il sommario di 4 pagine da lui preparato all’arrivo del rapporto sul Russiagate di Robert Mueller. Nel sommario, Barr spiegava che lo special counsel sostanzialmente non ha trovato elementi che possano sostenere l’accusa di collusione tra russi e Trump, e che non ci sono sufficienti elementi per parlare di ostruzione della giustizia da parte del presidente. Le 4 pagine di Barr sono state contestate da Mueller stesso, che in una lettera privata del 27 marzo affermava che il sommario di Barr “non catturerebbe pienamente il contesto, la natura, la sostanza del lavoro e delle conclusioni di questo ufficio”.
Nelle 448 pagine preparate da Mueller ci sono infatti decine di episodi in cui membri della campagna di Trump hanno intrecciato rapporti con i russi, oltre ad almeno 11 occasioni in cui il presidente ha di fatto intralciato l’inchiesta. Mueller, nel rapporto, lascia al Congresso la scelta se perseguire Trump per “ostruzione della giustizia” e non solleva certo il presidente dalle sue responsabilità. Quella lettera di Mueller è stata per settimane tenuta segreta da Barr e rivelata solo negli ultimi giorni grazie a New York Times e Washington Post. Di più: in una testimonianza alla Camera, in aprile, Barr aveva detto di non essere a conoscenza di eventuali riserve e contestazioni da parte di Mueller. Non è, appunto, vero: Mueller non soltanto aveva scritto una lettera di protesta, ma anche parlato telefonicamente con Barr, reiterando le sue critiche sui modi in cui il rapporto era stato presentato al pubblico.
A incrinare ulteriormente la posizione di Barr è venuta però la testimonianza davanti al Senato, mercoledì pomeriggio. Il segretario alla giustizia è apparso non solo particolarmente arrogante, ma anche poco convincente. Ha liquidato la lettera di Mueller come “un poco confusa”, probabilmente scritta da “un membro del suo staff”. Di fronte alle bordate dei Democratici, non ha dato vere risposte. Kemala Harris – che prima di diventare senatrice è stata procuratrice distrettuale in California – gli ha per esempio chiesto se “il presidente o un altro membro della Casa Bianca gli ha mai chiesto o suggerito di aprire un’indagine su qualcuno”. Barr prima ha balbettato: “Io non… non…”. Harris lo ha incalzato: “Sì o no?”, al che Barr ha ribattuto: “Sto cercando di capire il significato della parola ‘suggerire’”. “Accennare, inferire”, gli ha di nuovo replicato, tagliente, Harris. “Non lo so”, ha dovuto concludere Barr. Harris ha chiosato, ironica: “Non lo sa. Ok”.
I repubblicani si sono apertamente schierati dalla parte di Barr, e non sembra che la cosa possa cambiare nelle prossime ore. “La questione è chiusa” ha scandito con una certa enfasi il chairman repubblicano della Commissione giustizia del Senato, Lindsay Graham: “Nessuna collusione. Nessuna collaborazione. Nessuna cospirazione”. La posizione dei repubblicani è molto chiara: se Barr avesse davvero voluto proteggere il presidente, avrebbe bloccato l’indagine di Mueller e non gli avrebbe concesso la possibilità di portarla a termine in totale indipendenza. Come mostrano gli sviluppi di queste ore, la questione è comunque tutt’altro che chiusa. Barr rischia di essere incriminato per falsa testimonianza e disprezzo del Congresso. Attraverso di lui, i democratici vogliono ovviamente arrivare a Trump. Il calcolo, a questo punto, è per loro anche e soprattutto politico. Quanto è conveniente tenere alto il livello dello scontro giudiziario con la Casa Bianca, in campagna elettorale, rischiando di mettere in ombra le questioni politiche e sociali?