Partiamo dai fatti di cronaca. Il 24 aprile si gioca, a San Siro, Milan-Lazio. È la semifinale di Coppa Italia, partita di ritorno, e a entrambe le squadre piacerebbe alzare il trofeo, considerato che tra le mani, tra campionato e competizioni europee, non hanno granché. Il cielo, sopra la città, è una lastra di marmo e qualcuno, uscendo di casa il mattino, ha rispolverato la giacca invernale. In via Fatebenefratelli, tra le stanze della Questura, c’è lo stesso clima sonnacchioso che si respira tra le strade per via del ponte festivo tra Pasqua e la festa della Liberazione. A un certo punto, però, arriva una notizia da piazzale Loreto: un gruppo di ultrà laziali ha esposto uno striscione con su scritto “onore a Benito Mussolini”, tributando al Duce il “presente” con tanto di saluto fascista (fatto, questo, che è costato il daspo a otto persone). Passa poco tempo, ed ecco che fuori dallo stadio altri gruppi di sedicenti tifosi biancocelesti iniziano coi cori razzisti nei confronti di un giocatore del Milan, Tiémoué Bakayoko. I cori, manco a dirlo, continuano sugli spalti, nel corso della partita, e poi fuori, dopo il triplice fischio.
Per questi episodi il giudice sportivo Alessandro Zampone ha deciso la squalifica per una giornata, sospesa con la condizionale, della curva laziale. Stando ai rapporti dei collaboratori della Procura federale, presenti a San Siro, i cori razzisti sono “attribuibili al 90% degli occupanti del settore ospite”. In pratica, circa 3600 persone. La domanda, ora: perché, a fronte dell’evidenza dei fatti, la partita non è stata interrotta?
Il 30 gennaio scorso, la Figc ha riscritto le norme sulle discriminazioni (razziali, religiose, di genere, di origine territoriale e nazionalità) negli stadi (art.62 del Noif, Norme organizzative interne federali). Chi ha il potere e la responsabilità di sospendere il gioco non è più l’arbitro – e per fortuna – ma un funzionario della Questura, incaricato dal Ministero dell’Interno, che si avvale dei collaboratori della Figc. Il direttore di gioco, quindi, riceve l’ordine dal responsabile dell’ordine pubblico. Dopo la prima sospensione, lo speaker ne dà comunicazione agli spettatori. Stesso procedimento nel caso di una seconda sospensione. Se l’interruzione dura più di 45 minuti, scatta lo stop definitivo.
Ora, ci sono almeno tre motivi, secondo me, per i quali il match è andato avanti come se nulla fosse. Il primo: il titolare del Viminale, Matteo Salvini, si è detto contrario alle modifiche del protocollo. Per lui, ululati, buu e cori conditi da “banane” ed espressioni affini, non sono espressioni di razzismo (qui, in effetti, noto la coerenza di chi ai napoletani cantava “senti che puzza, scappano anche i cani…”). “Facciamo la scala Richter dei buu” ha proposto. Ma nessuno ha capito se dicesse sul serio o scherzasse. Sia come sia, la domanda – retorica – è: che interessi ha il funzionario del Ministero nel mettersi contro il proprio ministro? Nessuno.
Seconda domanda, meno retorica ma più di sostanza, e che rappresenta anche la seconda ragione: e se il funzionario avesse scelto di non fermare il gioco per scongiurare problemi di ordine pubblico fuori dallo stadio, a partita conclusa? Pensiamoci.
Terzo motivo: la sospensione e l’annullamento della gara dà a un manipolo di sedicenti tifosi (per me tifosi non lo sono, sia chiaro) un potere enorme. E cioè quello di interrompere le partite quando c’è qualcosa, qualsiasi cosa, che a loro non sta bene. Questo, inevitabilmente, si traduce in uno strumento di ricatto nei confronti delle società. E la ragione è tanto semplice quanto assurda: l’articolo 4 del Codice di giustizia sportiva sancisce la responsabilità oggettiva delle società per quanto riguarda il comportamento “dei propri sostenitori, sia sul proprio campo, intendendosi per tale anche l’eventuale campo neutro, sia su quello delle società ospitanti, fatti salvi i doveri di queste ultime”.
Stando così le cose, a me sembra che l’ipocrisia regni sovrana un po’ ovunque: in chi bolla atti di razzismo come goliardate, in chi si strappa i vestiti invocando lo stop delle partite e, naturalmente, nelle società, che per convenienza fanno poco, pochissimo, affinché le cose cambino.
E allora propongo una soluzione già avanzata da chi ne sa più di me: l’articolo 4 va rivisto, completamente. Se una persona è responsabile di atti violenti ne deve rispondere come fosse per strada o al bar. Per se stesso, individualmente. Per rendere ciò possibile, la tecnologia ci viene in aiuto: le società si devono dotare di un efficace sistema di telecamere a circuito chiuso che puntino sugli spalti.
Io partirei da qui, voi?
Alberto Marzocchi
Giornalista
Sport - 2 Maggio 2019
Sui cori razzisti negli stadi l’ipocrisia regna sovrana. Tre ragioni e una soluzione
Partiamo dai fatti di cronaca. Il 24 aprile si gioca, a San Siro, Milan-Lazio. È la semifinale di Coppa Italia, partita di ritorno, e a entrambe le squadre piacerebbe alzare il trofeo, considerato che tra le mani, tra campionato e competizioni europee, non hanno granché. Il cielo, sopra la città, è una lastra di marmo e qualcuno, uscendo di casa il mattino, ha rispolverato la giacca invernale. In via Fatebenefratelli, tra le stanze della Questura, c’è lo stesso clima sonnacchioso che si respira tra le strade per via del ponte festivo tra Pasqua e la festa della Liberazione. A un certo punto, però, arriva una notizia da piazzale Loreto: un gruppo di ultrà laziali ha esposto uno striscione con su scritto “onore a Benito Mussolini”, tributando al Duce il “presente” con tanto di saluto fascista (fatto, questo, che è costato il daspo a otto persone). Passa poco tempo, ed ecco che fuori dallo stadio altri gruppi di sedicenti tifosi biancocelesti iniziano coi cori razzisti nei confronti di un giocatore del Milan, Tiémoué Bakayoko. I cori, manco a dirlo, continuano sugli spalti, nel corso della partita, e poi fuori, dopo il triplice fischio.
Per questi episodi il giudice sportivo Alessandro Zampone ha deciso la squalifica per una giornata, sospesa con la condizionale, della curva laziale. Stando ai rapporti dei collaboratori della Procura federale, presenti a San Siro, i cori razzisti sono “attribuibili al 90% degli occupanti del settore ospite”. In pratica, circa 3600 persone. La domanda, ora: perché, a fronte dell’evidenza dei fatti, la partita non è stata interrotta?
Il 30 gennaio scorso, la Figc ha riscritto le norme sulle discriminazioni (razziali, religiose, di genere, di origine territoriale e nazionalità) negli stadi (art.62 del Noif, Norme organizzative interne federali). Chi ha il potere e la responsabilità di sospendere il gioco non è più l’arbitro – e per fortuna – ma un funzionario della Questura, incaricato dal Ministero dell’Interno, che si avvale dei collaboratori della Figc. Il direttore di gioco, quindi, riceve l’ordine dal responsabile dell’ordine pubblico. Dopo la prima sospensione, lo speaker ne dà comunicazione agli spettatori. Stesso procedimento nel caso di una seconda sospensione. Se l’interruzione dura più di 45 minuti, scatta lo stop definitivo.
Ora, ci sono almeno tre motivi, secondo me, per i quali il match è andato avanti come se nulla fosse. Il primo: il titolare del Viminale, Matteo Salvini, si è detto contrario alle modifiche del protocollo. Per lui, ululati, buu e cori conditi da “banane” ed espressioni affini, non sono espressioni di razzismo (qui, in effetti, noto la coerenza di chi ai napoletani cantava “senti che puzza, scappano anche i cani…”). “Facciamo la scala Richter dei buu” ha proposto. Ma nessuno ha capito se dicesse sul serio o scherzasse. Sia come sia, la domanda – retorica – è: che interessi ha il funzionario del Ministero nel mettersi contro il proprio ministro? Nessuno.
Seconda domanda, meno retorica ma più di sostanza, e che rappresenta anche la seconda ragione: e se il funzionario avesse scelto di non fermare il gioco per scongiurare problemi di ordine pubblico fuori dallo stadio, a partita conclusa? Pensiamoci.
Terzo motivo: la sospensione e l’annullamento della gara dà a un manipolo di sedicenti tifosi (per me tifosi non lo sono, sia chiaro) un potere enorme. E cioè quello di interrompere le partite quando c’è qualcosa, qualsiasi cosa, che a loro non sta bene. Questo, inevitabilmente, si traduce in uno strumento di ricatto nei confronti delle società. E la ragione è tanto semplice quanto assurda: l’articolo 4 del Codice di giustizia sportiva sancisce la responsabilità oggettiva delle società per quanto riguarda il comportamento “dei propri sostenitori, sia sul proprio campo, intendendosi per tale anche l’eventuale campo neutro, sia su quello delle società ospitanti, fatti salvi i doveri di queste ultime”.
Stando così le cose, a me sembra che l’ipocrisia regni sovrana un po’ ovunque: in chi bolla atti di razzismo come goliardate, in chi si strappa i vestiti invocando lo stop delle partite e, naturalmente, nelle società, che per convenienza fanno poco, pochissimo, affinché le cose cambino.
E allora propongo una soluzione già avanzata da chi ne sa più di me: l’articolo 4 va rivisto, completamente. Se una persona è responsabile di atti violenti ne deve rispondere come fosse per strada o al bar. Per se stesso, individualmente. Per rendere ciò possibile, la tecnologia ci viene in aiuto: le società si devono dotare di un efficace sistema di telecamere a circuito chiuso che puntino sugli spalti.
Io partirei da qui, voi?
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Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Nessun tumore al cervello e nessuna infezione da polmonite batterica, come erroneamente riportato dalla Direzione sanitaria del Mar Rosso. Mattia è morto per un’emorragia causata da un aneurisma cerebrale e si esclude con certezza la presenza di altre patologie concomitanti. Questo quanto emerge dopo l'esame effettuato dall'Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine". Così l'avvocato Maria Virginia Maccari, che assiste i familiari di Mattia Cossettini, morto a 9 anni mentre si trovava in vacanza a Marsa Alam.
"Mattia era felicissimo della vacanza e fino a quella tragica escursione in barca non aveva manifestato alcun sintomo, nemmeno un raffreddore. Tanti sorrisi fino all’ultimo momento, allegro come tutti lo conoscevano, ma durante l’escursione in barca non c’è stata nessuna possibilità di chiamare o di ricevere i soccorsi. Secondo i genitori vi è stata sicuramente una sottovalutazione del quadro clinico iniziale; c’è poi stato un errore di refertazione da parte dei medici dell’ospedale generale governativo di Marsa Alam, che hanno interpretato la Tc senza intervenire poi su Mattia per l’assenza di attrezzature, tenuto solamente in osservazione mentre i sanitari stimavamo le più svariate patologie, dal diabete alla broncopolmonite, citando addirittura il Covid come causa di un’ossigenazione bassa quando invece Mattia non aveva neanche la tosse", spiega.
"Rimasto invece su una lettiga di ospedale, con il cuscino della camera del resort, mentre i genitori tentavano invano un trasferimento presso un altro ospedale. La famiglia sta ancora approfondendo gli aspetti relativi all’incidenza di una corretta e tempestiva diagnosi, ma quello che emerge è la necessità di sensibilizzare il Governo egiziano per favorire protocolli nella gestione delle emergenze sanitarie nella zona del mar Rosso. Il primo ospedale attrezzato è situato a circa tre ore di auto e - sottolinea - non sono disponibili mezzi di trasporto rapidi per raggiungerlo. Probabilmente sarebbe sufficiente un piccolo contributo economico da parte delle numerosissime strutture alberghiere per garantire un servizio sanitario adeguato, oppure realizzare un eliporto per trasferire i pazienti gravi, raggiungendo un luogo idoneo. Si stima la presenza di circa quindici milioni di italiani in Egitto ogni anno, di cui un terzo circa nella zona del Mar Rosso".
"Nonostante tutte le immersioni subacquee effettuate in zona, anche una 'semplice' embolia polmonare diventerebbe critica a causa dell’assenza nelle vicinanze di una camera iperbarica. In alcune situazioni potrebbe fare la differenza anche la refertazione a distanza, facilmente possibile con l’utilizzo della telemedicina e nel caso di Mattia si sarebbe molto probabilmente evitata l'errata interpretazione delle immagini della Tc, fatto che ha di certo avuto un peso psicologico importante sui genitori. Non è chiaro se il tempo perso, dai primi sintomi interpretati in modo superficiale dai medici, all’incapacità di intervenire in modo attivo presso l’ospedale di Marsa Alam, potessero cambiare l’esito della vicenda. È però evidente come, qualsiasi necessità sanitaria improvvisa, che possa essere clinicamente complessa ma che nel nostro contesto sociale risulti gestibile, le possibilità di sopravvivenza in una zona così turistica e famosa siano sorprendentemente scarse. I genitori di Mattia, Marco e Alessandra, si augurano che la morte di loro figlio possa servire ad avviare questo adeguamento sanitario in Egitto per il bene dí tutti gli altri turisti italiani, non consapevoli della situazione fatiscente che potrebbero scoprire appena varcate le mura dei lussuosi resort", conclude.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - Gli ostaggi israeliani Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert sono stati trasferiti alla Croce Rossa Internazionale dopo essere saliti sul palco a Nuseirat, nel centro di Gaza, prima del rilascio da parte di Hamas.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - "In Italia sono sempre più giovani medici attratti dalla ginecologia oncologica: questa specializzazione conta bravi chirurghi intorno ai 45 anni, in Italia sono circa 50, tra cui molte donne. E loro saranno tra i protagonisti domani del simposio 'Innovation in Gyn Onc', appuntamento voluto dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia all’interno di Esgo", European Gynaecological Oncology Congress, in corso fino a domenica a Roma (Hotel dei Congressi all’Eur). Così all’Adnkronos Salute Vito Trojano, presidente di Sigo alla vigilia del meeting all’interno del Congresso Esgo 2025, un'esperienza formativa con oltre 50 sessioni scientifiche che in questa tre giorni di lavori presentano gli ultimi sviluppi medici e scientifici nella ricerca, nel trattamento e nella cura dei tumori ginecologici, tenuti da esperti di fama mondiale.
"Sarà una giornata molto importante perché non solo è un connubio fra la Società europea di ginecologia oncologica e la Sigo – spiega Trojano – ma perché dedicata alle nuove generazioni. Obiettivo: poter fare in modo che la Ginecologia oncologica sia sempre più attrattiva e di interesse per i giovani che aspirano a fare i medici".
Tra i temi al centro del simposio, nuove proposte per la vaccinazione e lo screening del cancro cervicale, prevenzione del cancro ovarico oltre la chirurgia, medicina di precisione in oncologia ginecologica, novità dalla biopsia liquida, algoritmi terapeutici nel carcinoma ovarico di prima linea, efficacia e sopravvivenza a lungo termine con gli inibitori di Parp. E ancora: la salute digitale in oncologia ginecologica, telechirurgia, telesonografia, teleconsulenza e Hipec (chemioterapia ipertermica intraperitoneale) in oncologia ginecologica. "Ampio spazio sarà dato ovviamente alle nuove terapie mediche, alle tecniche chirurgiche e all’Intelligenza artificiale con cui i futuri chirurghi si addestrano e si formano", conclude Trojano.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - A Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza, verranno rilasciati tre ostaggi (Omer Shem Tov, Eliya Cohen e Omer Wenkert) rapiti il 7 ottobre, anziché quattro come si pensava in precedenza. Il quarto ostaggio, Hisham al-Sayed, rapito nel 2015, verrà liberato in un altro luogo e senza una cerimonia pubblica. I veicoli della Croce Rossa sono presenti a Nuseirat, ma sembra che ci potrebbe essere ritardo nella consegna.