3. Tra mille travagli, non ultimo l’allontanamento in corso d’opera dello storico batterista Lol Tolhurst, l’album venne pubblicato esattamente come lo aveva pensato Smith: “Volevamo essere compresi dalla nostra gente e ricordare che i Cure non stavano diventando una fottuta pop band”. Va da sé che recuperare la magia intonsa dei primi album, senza rinunciare al pop touch che in ogni caso li aveva definiti nell’ultimo periodo, divenne pressoché un prodigio compiuto.
https://www.youtube.com/watch?v=ks_qOI0lzho
4. Sedetevi. Tirate fuori il disco e mettetelo su lato A. Alzate il volume, scoprirete che la band si impossesserà dei vostri sensi irrompendo con una delle più grandiose aperture che siano mai state concepite. Le canzoni presentano tutte un intro, il cui polso costante è determinato dal basso e dall’incedere della chitarra, sebbene siano le linee glaciali dei synth a definire maggiormente l’opera. E poi la voce, s’intuisce da subito che Robert smette (finalmente) di “miagolare”. I toni tornano sobri, sebbene la calma si trasformi frequentemente in spettacoli dirompenti, volti alla continua ricerca di equilibrio.