Il ministro delle Infrastrutture non esclude un coinvolgimento della holding della famiglia Benetton. Ma assicura che l'atteggiamento del governo sulle concessioni autostradali, oggetto di scontro dopo il crollo del ponte Morandi, non cambia. "Quando si mischiano i dossier diventi ricattabile o devi scendere a compromessi al ribasso". Il vicepremier non si sbilancia su chi sarà l'ultimo socio accanto a Fs, Delta e Tesoro
La risposta dei commissari governativi di Alitalia alla richiesta di proroga avanzata da Fs non è ancora arrivata. Ed è buio fitto sul futuro dell’ex compagnia di bandiera: il vicepremier Luigi Di Maio giovedì sera ha sostenuto che non resta da trovare il 40% del capitale. “Assolutamente no. Si può arrivare anche al 15%, in questo momento, in base a quello che stiamo vedendo della torta”. Ma il ministro dello Sviluppo non ha spiegato chi dovrebbe farsi carico delle quote che restano a valle dell’intervento di Ferrovie dello Stato, che prenderebbe il 30%, di Delta e del Tesoro, cui andrebbe il 15% ciascuna.
Nonostante le smentite dell’ad Giovanni Castellucci, resta in campo l’ipotesi di un ruolo di Atlantia. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, ai microfoni di Radio24 ha detto che l’atteggiamento del governo nei confronti del gruppo delle autostrade dopo il crollo del Ponte Morandi di Genova “non è cambiato, non starebbe né in cielo né in terra che lo fosse solo perché la concessionaria potrebbe intervenire in Alitalia. Ma quello della compagnia aerea è un altro dossier che va trattato diversamente, non dobbiamo mischiare le cose. Quando si mischiano i dossier diventi ricattabile o devi scendere a compromessi al ribasso. La questione tra Alitalia e Atlantia è gestita dai commissari del governo, quello su Ponte Morandi è altro discorso”.
Dal canto suo il ministro dell’Economia Giovanni Tria, intervistato dal Foglio, dice che “può essere anche corretto che lo stato metta dei fondi per sostenere una società nuova. Il punto è avere una nuova società che non vada in perdita. E non solo perché sono soldi pubblici e non vanno buttati. Ma anche perché non serve mettere soldi in un’impresa che va in perdita e che tra un anno fallisce. Lo Stato quindi può entrare a condizione che sia un progetto che non va in perdita”. “Secondo le regole europee deve essere una società che opera nelle regole di mercato. Anche una società cento per cento dello Stato deve operare sul mercato”, ricorda ancora il ministro. “Penso che per Paesi importanti come l’Italia avere una compagnia italiana sia importante, perché i collegamenti sono parte integrante del nostro sistema economico, fa parte della competitività di un Paese. Il problema è avere un piano industriale serio”.