Il 6 maggio 1949 si celebrano i funerali del Grande Torino. L’Italia intera si stringe attorno al popolo granata e una folla sconfinata accompagna i feretri dei suoi campioni. Agli sguardi commossi, tuttavia, se ne uniscono altri cupi e minacciosi. A subirli sono una donna e i suoi tre bimbi, moglie e figli del pilota dello sfortunato volo, Pierluigi Meroni. Il dramma è tanto forte da dover essere rigettato, anzi, da dover essere imputato a qualcuno. E il tenente colonnello è il migliore fra i capri espiatori. Si comincia a parlare di errore umano e ci si chiede perché il trimotore Fiat G.212 abbia virato verso Superga anziché dirigersi su Malpensa, dove era inizialmente previsto l’atterraggio. C’è persino chi si spinge a farfugliare qualcosa su un presunto contrabbando di danaro o droga. Suggerendo che quell’improvviso cambio di rotta servisse a ingannare i controlli dei finanzieri. Tutto falso.

Decollato dall’aeroporto di Lisbona alle 9.40, il veivolo fa tappa a Barcellona alle ore 13 per un rifornimento. Qui il Torino incontra i giocatori del Milan, diretti a Madrid e le due squadre pranzano insieme. Quando alle 14.50 l’aereo riprende il suo viaggio verso l’Italia e già si prevede un suo atterraggio all’aeroporto di Torino-Aeritalia. La decisione è dettata proprio dalla volontà di evitare gli insidiosi banchi di nebbia attorno a Malpensa. Meroni non li teme, ma li conosce bene. Istruttore di volo cieco, è specializzato nell’affrontare situazioni di visibilità scarsa o nulla. A tradirlo però questa volta non sono le sue capacità, ma gli strumenti di bordo. Con l’altimetro impazzito, il tenente colonnello e il suo equipaggio sono infatti convinti di trovarsi a quota duemila metri quando, attorno alle 17, iniziano le manovre di atterraggio. In realtà sono ad appena seicento metri da terra. L’aereo vira a sinistra, la nebbia si dirada e Meroni si ritrova la Basilica addosso. Lanciato a 180 km/h, non ha neppure il tempo di reagire. La fusoliera sfonda letteralmente il muraglione del terrapieno della basilica di Superga, accartocciandosi e prendendo fuoco. Alla vedova non resta neppure l’onere di riconoscere il cadavere del marito.

Oggi, a 70 anni da quel giorno, sappiamo che il tenente colonnello Gianluigi Meroni non ebbe colpe. E Torino piange tutti. Le leggende, i partigiani e i comuni mortali.

Twitter: @Ocram_Palomo

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Grande Torino, 70 anni dopo Superga – Il mister, il partigiano, il pilota: le storie nella storia

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