“La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione”. Lo diceva Rain (Juliette Lewis) in Mariti e mogli. Anno 1992. Woody Allen probabilmente all’apice della carriera. Allen pubblico, idiosincrasie personali trasferite nel doppio cinematografico, sintesi artistica sublime, tragica e divertente. Allen privato, mogli/compagne che sembrano il mazzo di carte di Sigmund Freud, Lesser-Keaton-Farrow e poi Soon-Yi, figlia adottiva dell’ex marito della ex fidanzata Farrow che diventa vera moglie. Da una parte l’intellettuale, il comico, l’ammiratore di un’estetica europea che fa tanto “autore”; dall’altra l’omino accusato di pedofilia, di incesto, probabilmente anche dell’invasione della Polonia nel ’39.
Sullo scaffale dei bei ricordi i premi, il tappeto rosso di Cannes srotolato a prescindere, la promozione di un film solo incontrando gli studenti a Yale, Harvard e UCLA, l’ammirazione critica incondizionata anche al terzo autoremake di Mariti e mogli (Irrational man, lo ripetiamo da adoratori di Allen, è un film terrificante); mentre nel cassetto della scrivania chiuso a chiave ci sono i processi in tribunale, i referti medici sugli stupri (non avvenuti), l’improvvisa lettera nel 2014 della figlia adottiva Dylan che lo accusa di averla molestata venticinque anni prima (accuse negate). E che per 25 anni le due piste, le due dimensioni, i due binari della vita di Allen siano viaggiati paralleli è fatto strano nella bacchettona America, seppur da costa est, da ambientino radical chic ebraico newyorchese.
Il click che travolge Allen non nasce tra gli agricoltori del Nebraska (che forse nemmeno lo conoscono) o le casalinghe di Milwaukee, ma scoppia invece proprio lì, tra gli amici degli amici, tra i colleghi di sempre. Quelli che facevano la fila per partecipare ai suoi film. Lo mollano tutti (a parte Diane Keaton). E lo dicono clamorosamente in pubblico. Come se Allen fosse il mostro di Dusseldorf. Rebecca Hall pentita di aver partecipato a Vicky Cristina Barcellona (di aver lavorato con Allen sì, ma nemmeno una parola sull’aver recitato in un film così banalmente osceno). Colin Firth che giura di non fare mai più film con lui (certo come Magic in moonlight, film davvero memorabile). Il 23enne Timothée Chalamet, nel cast del film A rainy day in New York, il film mai uscito e che mai uscirà per l’addio di Amazon, che si permette perfino una gag da commedia all’italiana modello Sordi o Gassman: io i soldi presi nel recitare da quel film nemmeno li voglio toccare, sciò, pussa via.
Niente più film per Woody Allen. Nemmeno il libro di memorie. Carta straccia. Ovviamente, per gli editori che rifiutano: tutte falsità. Allora, qui c’è qualcosa che non va, qualche conto che non torna. “Na specie de cadavere lunghissimo” che sembra srotolarsi da quando il cinema di Allen, pressappoco proprio dopo Mariti e mogli perde mordente, scivola nella ripetizione e nella maniera di se stesso, pur con guizzi interessanti (Harry a pezzi, Anything Else). Un beffardo rimosso, un consistente non detto che esplode tutto in una volta. Improvvisamente. Proprio quando arriva il periodo #MeToo (e Time’sUp) delle vendette e in mezzo ci finisce chiunque: chi ha combinato criminalmente di tutto, chi è colluso in modo defilato, e chi non c’entra proprio nulla.
Allen, paradossalmente, non finisce in nessuno di queste categorie dove potrebbero starci tutti i “colpevoli” emersi dopo le primigenie accuse contro Harvey Weinstein. Allen viene distrutto, cancellato dal cinema, probabilmente a breve perfino dagli annali (a Kevin Spacey è capitato), grazie agli strascichi sempre identici di un dramma familiare eterno. I suoi accusatori si sono aggrappati al trenino del Time’s Up. Con quell’espressione italiana un po’ sgradevole del fare di tutta l’erba un fascio. E la buona sorte lo ha mollato quando meno se lo è aspettato. Allen finito tra le nebbie della damnatio memoriae proprio per quella sensazione che nei suoi film raccontasse sé stesso.
L’aspetto autobiografico che agli occhi di fan e semplici osservatori era marchio di brillante artisticità è deragliato nello spazio pubblico oltre lo schermo. Farsi filmare da Allen, o produrre, distribuire un suo film sarebbe come avvalorare il suo privato che si fa poesia del cinema. “Molte persone non riescono proprio a capirlo. E non lo dico in maniera critica, ma semplicemente non capiscono. Pensano sempre che le mie storie e le mie idee si basino sulla realtà; perciò mi tocca spiegargli che Io&Annie non era un film autobiografico, e neppure Manhattan lo era, e nemmeno Mariti e mogli”. Parole di Woody Allen in tempi non sospetti. 1993, Woody su Allen (Laterza). Eppure Allen è finito. Lo strano caso del dottor Woody e di mister Allen. Nessuna sentenza definitiva agli atti sui fatti privati, ma presente e futuro pubblico del cineasta giustiziato sulla sedia elettrica.
Intanto Lucky Red conferma che il film bloccato da Amazon uscirà in Italia