Il ridimensionamento del sistema di accoglienza diffusa dei migranti, conseguenza del decreto Salvini, farà perdere 15mila posti di lavoro entro l’anno e il taglio dei cosiddetti 35 euro porterà a un decadimento complessivo del servizio, le cui conseguenze ricadranno sui territori. E’ l’allarme lanciato da Oxfam.
Secondo l’Anci, sono circa 36mila gli operatori impiegati nei centri di tutta italia. Poi ci sono le persone che lavorano nel cosiddetto “indotto”: “psicologi, avvocati, insegnanti di italiano, formatori, e, per i centri di maggiori dimensioni, addetti alla mensa o ai servizi di pulizia, che non sono direttamente impiegati dalle associazioni che gestiscono le strutture di accoglienza, ma che offrono i loro servizi professionali sulla base di accordi o convenzioni”. Il dl Salvini, entrato in vigore il 4 ottobre, taglia drasticamente i fondi destinati ai centri, con la conseguenza che la loro gestione in molti casi non è più sostenibile e molti di essi sono costretti a chiudere o a non ripresentarsi alle gare: nei primi 4 mesi dell’anno, afferma Oxfam, secondo i dati di Cgil Funzione Pubblica nazionale hanno perso il lavoro oltre oltre 4mila operatori che potrebbero diventare 15mila entro la fine dell’anno, via via che scadranno i bandi di assegnazione in vigore.
Queste 15mila persone “avranno diritto all’indennità di disoccupazione, la cosiddetta NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego)”, prosegue l’organizzazione, che viene “calcolata in base al numero di settimane contributive nei quattro anni precedenti il licenziamento o il mancato rinnovo del contratto . E’ ragionevole pensare che il tempo medio trascorso da questi lavoratori nel settore sia di circa tre anni, poiché la maggior parte delle assunzioni si sono verificate tra il 2014 e il 2016, in corrispondenza del rapido aumentare degli arrivi. Ci saranno quindi molti operatori che avranno calcolata la Naspi su 4 anni di contribuzione, e altri che avranno invece speso minor tempo (1-2 anni) nel settore. Considerando quindi una figura di operatore full time, inquadrato come livello C1 (Contratto cooperative sociali), con un lordo medio calcolato a 1.345 euro e impiegato per tre anni, l’ammontare dell’indennità di disoccupazione per 18 mesi (la metà, appunto, delle settimane contributive) è di 13.869,99 euro. Moltiplicando per le 15mila persone che si prevedono in esubero entro la fine del 2019, si tratta di più di 208 milioni di euro che potenzialmente usciranno dalle casse dello Stato sotto forma di ammortizzatori sociali“.
A tutto ciò, secondo l’Ong, si deve aggiungere il taglio dei famigerati 35 euro e il conseguente decadimento del servizio offerto dai centri. Servizio che prima che ai migranti viene offerto “ai territori”. “Cancellata l’assistenza psicologica, talmente ridotte le ore dei mediatori culturali e degli operatori legali da diventare sostanzialmente inutili – si legge nel report, che racconta uno spaccato già raccontato dopo l’entrata in vigore del decreto da IlFattoQuotidiano.it – Questo renderà remunerativi solo i centri-dormitorio di grandi dimensioni: proprio quelli che hanno consentito, negli anni passati, le peggiori malversazioni e spreco di denaro pubblico“. Nei centri di accoglienza fino a 300 posti, infatti, i tagli complessivi saranno solo del 28%, a fonte di quasi il 40% previsto per i piccoli appartamenti di accoglienza diffusa. Ad esempio, la Prefettura di Roma stabilisce, con i nuovi bandi, un pro capite pro die di 21,35 euro per l’accoglienza diffusa in appartamenti, e di 26,35 euro per i centri di maggiori dimensioni.
“Siamo di fronte a tagli ai finanziamenti che non sono “orizzontali”, ma commisurati al numero di persone accolte in ogni struttura e alla “tipologia” di accoglienza realizzata – sostiene Marco Omizzolo, direttore scientifico di In Migrazione – Al contrario delle aspettative, per cui tanto più un centro è grande, tanto dovrebbe pesare la scure sul finanziamento, chi pagherà di più il prezzo di questi tagli saranno coloro che propongono l’accoglienza diffusa, cioè ospitalità in singoli appartamenti in distinte unità immobiliari. Una modalità molto positiva di accoglienza che caratterizza da anni una buona parte dei centri Sprar e che sui territori veniva sempre più sviluppata anche in molti Cas virtuosi”.